Fine del mondo: dei Maya e di altre profezie

La fine del mondo è un leitmotiv che ricorre martellante nella storia dell’umanità. Quante volte saremmo dovuti soccombere a piogge di fuoco, anticristi e piaghe di ogni sorta, e invece siamo ancora qui?

Quando si parla della fine dei tempi, è d’obbligo citare il famigerato anno Mille: alle soglie di questa data, pare che le persone furono invase da un vago senso di malessere e inquietudine circa una repentina apparizione dell’anticristo e la conseguente venuta del Salvator Mundi, giudice supremo delle colpe dell’uomo.

Mai fatto storico fu più ingeneroso nei confronti dei cristiani medievali: questa leggenda, infatti, venne divulgata a partire dal XVI secolo, quindi a più di 500 anni di distanza dalla presunta fine del mondo; il che basta a gettare un’ombra di sospetto sulla veridicità delle paure medievali.

Successivamente la presunta fine dei tempi nell’anno Mille venne ripresa da umanisti e intellettuali che volevano rimarcare il dogmatismo di un’epoca ritenuta oscura, tenebrosa, connotata dall’assenza di quella lux mentis che aveva guidato gli antichi greci e romani: fra questi, annoveriamo persino Giosuè Carducci (ma non ci meravigliamo più di tanto: Carducci sostiene ugualmente che l’Università di Bologna sia stata fondata nel 1088, pur in mancanza di documenti inoppugnabili).

Anche la data del 21 dicembre 2012 è legata alla fine del mondo, come è noto ai più.

Sulla base di una serie di ipotesi che vanno dalle teorie degli scrittori New Age degli anni Settanta all’interpretazione del calendario Maya, taluni ipotizzarono l’accadimento di sciagure e catastrofi che avrebbero decretato la fine dell’umanità. In particolare, proprio il mistero del calendario Maya ha colpito nel vivo l’immaginario collettivo (come dimenticarsi la congerie informe di romanzi e studi pseudoscientifici in odore di complottismo che vennero pubblicati fino a questa data?).

Da quello che sappiamo, e senza entrare troppo nello specifico, i Maya misuravano il tempo sulla base di due calendari: il primo, il calendario religioso e rituale di 260 giorni; il secondo, il calendario solare di 365 giorni. Combinando questi due calendari, i Maya ottenevano dei cicli più o meno lunghi di circa 52 anni (poco meno di 20000 giorni per ciascun ciclo).

Esisteva tuttavia un ulteriore calendario, il cosiddetto Lungo computo, il quale calcola i giorni a partire dalla creazione del mondo secondo la mitologia Maya (e che, nel calendario gregoriano, corrisponde al 3114 a.C.). Il Lungo computo è suddiviso in cicli di 144000 giorni detti b’ak’tun, e il 20 dicembre 2012 sarebbe terminato il tredicesimo b’ak’tun, dando inizio al quattordicesimo, e quindi ad un nuovo ciclo.

Se per i Maya la fine di un ciclo era un’occasione per celebrare l’ingresso in una nuova epoca, fra XX e XXI secolo, sulla base di interpretazioni New Age e di teorie pseudoscientifiche, furono affibbiati alla data del 21 dicembre 2012 una serie di significati che vanno dalla rigenerazione dell’individuo, in vista dell’inizio di un nuovo ciclo, alla distruzione apocalittica della civiltà umana; teorie, chiaramente, tutte confutate, a partire proprio dagli studiosi della civiltà Maya, i quali non furono ascoltati in nome del profitto.

Infine, che cosa dovremmo aspettarci nei prossimi anni? Va da sé che le profezie circa la fine del mondo sono innumerevoli (da Gioacchino da Fiore, il quale già sul finire del XII secolo previde nel 1260 l’inizio del millennio finale, al movimento raeliano, il cui capo Rael avrebbe ipotizzato la venuta degli Elohim nel 2035).

Il celebre astrologo e speziale provenzale Nostradamus, tuttavia, nella celebre prefazione alle sue profezie, ci fornisce una possibile data per la fine dei tempi, e cioè il 3797. Egli scrive infatti:

(…) j’ay composé Livres de prophéties, (…), sont perpétuelles vaticinations, pour d’yci à l’année 3797.

Che tradotto suonerebbe:

(…) ho scritto dei libri di profezie, (…) sono i vaticini perpetui, da oggi fino all’anno 3797.

Giuseppe Sorace

Sono Giuseppe, insegno italiano, e amo la poesia e la scrittura. Ma la scrittura, soprattutto, come indagine di sé e di ciò che mi circonda.