La mia parte: il nuovo podcast che parla di diritti negati e rivendicati

La mia parte: il nuovo podcast che parla di diritti negati e rivendicati

La mia parte: il nuovo podcast che parla di diritti negati e rivendicati

Nel corso di quattro episodi in collaborazione con ActionAid, l’attivista ed esperta di diritti Leila Belhadj Mohamed dà voce alle storie di donne e uomini che hanno visto i propri diritti negati e a coloro che hanno scelto di fare del proprio privilegio uno strumento di lotta contro le disuguaglianze…

In ogni democrazia bisogna tenere conto di una differenza fondamentale tra diritto e privilegio. Se il primo è un riconoscimento dell’individuo in quanto persona da parte dello Stato, il secondo è una caratteristica casuale, una condizione che si trasforma in una corsia preferenziale ad appannaggio solo di alcuni.  

Avere coscienza dei propri privilegi può allora diventare uno strumento di lotta per rivendicare, difendere e tutelare i diritti di chi è ai margini, poiché è solo con uno sforzo collettivo di solidarietà e giustizia contro le disuguaglianze che si può per realizzare un vero cambiamento. È questo il punto di partenza delle quattro storie protagoniste de “La Mia Parte”, serie podcast di Chora Media in collaborazione con ActionAid che dà voce a chi ha visto i propri diritti negati e a coloro che si impegnano per realizzare un cambiamento verso l’equità. 

Nel corso di quattro episodi, Leila Belhadj Mohamed, esperta di geopolitica e diritti umani, raccoglie le testimonianze di donne e uomini che hanno vissuto sulla propria pelle la sostanziale differenza che c’è tra diritto e privilegio e di coloro che hanno scelto di agire per combattere la marginalizzazione. 

Diritto alla cittadinanza, violenza di genere, accoglienza e sfruttamento del lavoro agricolo sono i quattro grandi temi che ActionAid sceglie di mettere in luce dando forma a un racconto corale sull’umanità più fragile e sull’aiuto che ciascuno può dare per cambiare in meglio la nostra società.  

Il primo episodio de “La Mia Parte”, nuova serie podcast di Chora Media per Action Aid, è disponibile a partire da venerdì 9 dicembre sulle piattaforme audio free (Spotify, Apple Podcast, Spreaker, Google Podcasts). 

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Sinossi 

Ep. 1 – Solo un pezzo di carta 

Prendete in mano la vostra carta d’Identità, guardatela. Rappresenta il vostro privilegio. Con quella potete accedere al welfare, votare, candidarvi, partecipare a concorsi pubblici, andare all’estero senza il timore che al vostro ritorno l’Italia vi chiuda la porta in faccia. Oggi nel nostro Paese tra le 500 e le 800mila persone vivono senza i diritti di cittadinanza, anche se qui sono nate e cresciute, ci studiano, lavorano, pagano le tasse. Sono loro, a parlarci, in questo episodio. 

 

Ep. 2 – Il corpo è mio  

Quello delle Mutilazioni genitali femminili è un tema difficile da affrontare in Occidente: lo trattiamo spesso come un problema lontano, che non ci riguarda e non fa parte della nostra tradizione. Tra gli stereotipi più diffusi, quello per cui riguarda soltanto l’Africa e, nello specifico, i Paesi di fede musulmana. Ma la vera radice alla base di questa pratica è una, ed è trasversale a quasi tutte le culture del mondo: la società patriarcale, che pretende di avere il controllo sul corpo della donna.  

 

Ep. 3 – Migrare è umano   

L’essere umano si sposta da sempre: per fame, guerre o cambiamenti climatici; per motivi economici o di semplice aspirazione personale. Da vent’anni a questa parte, però, la narrazione mediatica e politica delle migrazioni ha scelto un lessico bellico, ha deciso di trattare i flussi come una crisi, spaventosa e temporanea, da gestire. Un approccio che ha dato i suoi frutti sul piano elettorale, ma che va a discapito sia di chi vive nei Paesi dell’accoglienza, sia di chi cerca di entrarci, per rifarsi una vita. Ma un’altra prospettiva è possibile. 

 

Ep.4 – Il vero costo dei pomodori 

Il settore agroalimentare è uno dei pilastri dell’economia italiana. Nel 2021, un quarto del PIL arrivava da lì. Eppure, secondo le stime dell’ISTAT, il tasso di lavoro irregolare tra gli addetti all’agricoltura è il più elevato tra tutti i settori economici: 5 persone su 10 lavorano in nero o non vedono completamente rispettato il proprio contratto. In un settore già problematico – poco controllato e notoriamente interessato dalle infiltrazioni mafiose – c’è una categoria particolarmente vulnerabile alle discriminazioni: quella delle operaie. 

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Quello che gli uomini non dicono

Quello che gli uomini non dicono

Quello che gli uomini non dicono

Gli uomini sono violenti, gli uomini sono i carnefici, le donne invece sono sempre le vittime. In un clima sociale di violenta, e spesso legittima, rivendicazione di quei diritti femminili a lungo negati nel corso dei secoli, c’è qualcosa che gli uomini non dicono. Anche gli uomini infatti subiscono violenza, anche le donne sono carnefici, ma di questo nessuno parla.

Violenza sugli uomini: un tabù sociale

Sempre più si grida all’uguaglianza, ai pari diritti, alla rivendicazione dell’equità di genere, ma a tante seducenti parole non corrispondono fatti. Collocati come siamo in una società sempre più indirizzata al riconoscimento dell’uguale dignità dei sessi, appare decisamente retrograda e ottusa una condotta di pensiero che non riconosca come anche gli uomini, sebbene in misura minore, subiscano violenza di vario genere da parte del sesso opposto. Un tipo di violenza di cui ancora pochi parlano.

La questione della violenza contro gli uomini è stata recentemente oggetto di dibattito da parte del Consiglio d’Europa, in rispetto alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. In questa sede il fenomeno della violenza sul sesso maschile è stato definito una “violazione dei diritti umani, ma anche un ostacolo all’eguaglianza tra donne e uomini”.

Procediamo con ordine: quello della violenza sugli uomini costituisce tutt’oggi un forte tabù sociale difficile da scardinare, fondato sullo stereotipo del “sesso maschile come sesso forte”.
È la stessa ideologia femminista a perpetuare questo stereotipo, rivendicando l’esclusività della violenza di genere come un tipo di abuso esercitato solo sul genere femminile, e ribadendo come nessuna forma di violenza sugli uomini sia equiparabile a quella sul sesso opposto. Uguaglianza oppure ottusità?
Neppure le donne infatti sembrano essere esenti dall’accusa di essere “violente”. Spesso la loro violenza si esercita sì in forme diverse ma, se è vero che l’abito non fa il monaco, anche ciò che non è immediatamente visibile ha un peso. Nonostante ciò, la violenza esercitata da parte delle donne viene frequentemente banalizzata. Questo in virtù del fatto che il sesso femminile sembra costituire sempre e solo il sesso più debole, in un certo senso perpetuando in tal modo proprio quella concezione maschilista e patriarcale che fa della donna un essere sottomesso, debole, “inferiore”.

Le forme più diffuse

Quali sono dunque le forme più diffuse, ma poco conosciute, di violenza esercitata da parte delle donne (e delle società) sugli uomini?
Sicuramente al primo posto sta la violenza domestica. Nel 1996 venne pubblicato uno studio dal titolo Aggressive Behaviour avvalendosi di un campione di 1978 donne e uomini eterosessuali: del campione risultò che il 10% degli uomini e l’11% delle donne avevano commesso atti di violenza sul partener. La violenza domestica di parte femminile si esercita prevalentemente in forme di denigrazione del partner (sulle sue capacità famigliari, sessuali, economiche, genitoriali) fino all’alienazione parentale nel caso delle coppie con figli: ovvero la privazione dei figli da parte delle madri per mesi o anni. Questo non esclude che la violenza possa tuttavia essere esercitata anche in forma fisica, colpendo o infliggendo ferite con armi, pistole, coltelli, acqua bollente, acido, mazze. Le aree predilette per l’aggressione sono la faccia e la regione genitale, con non certo poche conseguenze fisiche e psicologiche sulla vita futura della vittima.

Non meno rilievo va al fenomeno della violenza sessuale sul genere maschile, perpetuata da donne e non. L’OMS ha stimato un’incidenza del 7,6% di abusi sessuali infantili nei confronti dei maschi su scala globale.
Estremamente accentuato inoltre, risulta essere il fenomeno dello stalking. Sebbene raramente lo stalking femminile degeneri nella forma della violenza fisica, esso si caratterizza per un forte livello di caparbietà e insistenza, logorando a livello psicologico la vittima.

Un tabù dunque di cui sono vittima gli uomini, spesso riluttanti a denunciare la violenza subita o a rivolgere richieste di aiuto. Questo generalmente determina due altrettanto drammatiche conseguenze: da un lato l’uomo subisce silenziosamente fino al totale logoramento, dall’altro reagisce esercitando altrettanta violenza di tipo fisico sulla donna, ingigantendo ulteriormente la problematicità di una situazione evidentemente deviata. Tutto questo non fa altro che confermare lo stereotipo degli uomini che praticano violenza (violenza che rimane non giustificata e non legittimabile) e che non possono, non hanno il diritto di denunciare e di tutelarsi.

Equità diseguale

Nella comune percezione sociale infatti, le ragioni del diverso peso dato al medesimo fenomeno sarebbero da attribuirsi alla maggiore forza fisica posseduta dal maschio, tendenzialmente più condannata e maggiormente oggetto di provvedimenti legali rispetto ad altre forme di violenza. Sebbene la gravità sia innegabile, non può esserle attribuito un peso diverso da qualsiasi altra forma di sopruso.
Il caso Italia conferma il diverso trattamento. Basta aprire il sito del Governo (Ministero degli Interni) e alla voce “violenza di genere” apparirà la seguente definizione:

Con l’espressione violenza di genere si indicano tutte quelle forme di violenza da quella psicologica e fisica a quella sessuale, dagli atti persecutori del cosiddetto stalking allo stupro, fino al femminicidio, che riguardano un vasto numero di persone discriminate in base al sesso.

Se per “genere” si intende l’appartenenza a un sesso, perché la violenza di genere concerne solo atti di violenza rivolti al sesso femminile? Una prima indagine sulle violenze contro il sesso maschile in Italia è stata condotta nel 2012 a opera del docente di medicina legale presso l’Università di Arezzo Pasquale Giuseppe Macrì. La prima indagine Istat inerente alle molestie sessuali sugli uomini risale invece al 2015-16. Dall’indagine è risultato che il 18,8% delle vittime di molestie sono uomini, un dato non così irrilevante corrispondendo circa a un quinto delle vittime totali.
La legge dunque non tutela e gli uomini devono tutelarsi da sé. In Italia si possono ricordare associazioni come AVU (Associazione Violenza sugli Uomini) e APS (Associazione Padri Separati). Quest’ultima in particolare, nata con l’obiettivo di tutelare tutti quegli uomini che dopo separazioni o divorzi subiscono costanti vessazioni psicologiche e legali dalle ex-partner, spropositatamente tutelate dalla legge anche a torto.

Una società che voglia andare nella direzione della parità e degli uguali riconoscimenti, non può limitarsi a tutelare solo una parte dei suoi componenti. La società odierna non è solo quella maschilistica e patriarcale che relega, o vorrebbe relegare, le donne a una misera subordinazione domestica e salariale. Che sia stato e sia tutt’ora così è innegabile, ma non è possibile fermarsi a questo. Neppure il sesso maschile è esente da violenze e discriminazioni. Di questo poco si parla e su questo tema scarse sono le tutele, ma la parità dei diritti non può passare attraverso il cieco esigere a danno dell’altro.

Martina Tamengo

U. Eco una volta disse che leggere, è come aver vissuto cinquemila anni, un’immortalità all’indietro di tutti i personaggi nei quali ci si è imbattuti.

Scrivere per me è restituzione, condivisione di sè e riflessione sulla realtà. Io mi chiamo Martina e sono una studentessa di Lettere Moderne.

Leggo animata dal desiderio di poter riconoscere una parte di me, in tempi e luoghi che mi sono distanti. Scrivo mossa dalla fiducia nella possibilità di condividere temi, che servano da spunto di riflessione poiché trovo nella capacità di pensiero dell’uomo, un dono inestimabile che non varrebbe la pena sprecare.

Storia di una rivoluzione gentile: quattro chiacchiere con Franco Grillini

Storia di una rivoluzione gentile: quattro chiacchiere con Franco Grillini

Storia di una rivoluzione gentile: quattro chiacchiere con Franco Grillini

Il 31 gennaio 2021 è uscito nelle sale Let’s Kiss, Franco Grillini – Storia di una rivoluzione gentile, la pellicola che ripercorre le battaglie della comunità Lgbt+. In occasione della proiezione a Palazzo Regione Lombardia, abbiamo incontrato il senatore Grillini e gli abbiamo fatto qualche domanda.

“Le idee sui sistemi economici, sul mondo del lavoro e degli esteri possono essere differenti ma i diritti non dovrebbero diventare una merce di scambio partitica. Sui diritti non esiste ne destra ne sinistra.”

“[…] Anche perché anni fa erano concepibili sentimenti e affermazioni confuse sul tema ma chi ora si scaglia, con determinate affermazioni o frasi, contro questa comunità lo fa in modo molto preciso per colpire, sapendo il danno e il dolore che provoca.”

È con queste parole che la senatrice Alessandra Maiorano interviene nella sala Gonfalone di Regione Lombardia alla conferenza stampa che precede la proiezione del docu-film Let’s Kiss, Franco Grillini – Storia di una rivoluzione gentile, diretto dal regista Filippo Vendemmiati.

Il documentario è basato proprio sulla vita dello stesso senatore-attivista Franco Grillini e ripercorre i quarant’anni di battaglie per i diritti della comunità Lgbt+ che lo hanno visto protagonista. Un racconto non solo storico e politico, ma anche intimo, che è arrivato a vincere l’Italian Film Festival di Berlino e il premio Nastri D’argento Documentari 2022. Il film, uscito nelle sale il 31 gennaio del 2021, ripercorre gli sviluppi della mentalità collettiva riguardo il tema dei diritti civili della comunità Lgbt+.

L’incontro organizzato dal consigliere regionale Simone Verni ha visto la presenza della consigliera regionale Paola Bocci, di Isa Nanni – sorella della defunta deputata Pavese Iolanda Nanni a cui è dedicato il nome del PDL 109 (PDL Nanni) che mira a eliminare a livello Lombardo le discriminazioni per le persone omotranessuali – Antonia Monopoli responsabile dello sportello trans di Ala Milano, Davide Podavini presidente di Coming Out Lgbt Community Center e Fabio Pellegatta presidente di Arcigay Milano.

Verni dichiara: “I diritti vanno riconosciuti, attenzione, e non concessi. Allargare la platea dei diritti è sempre un passo avanti per tutta la società. Quando si costruiscono steccati, quando si costruiscono differenze è li che incomincia il baratro, l’inizio della fine. La società nell’evolversi ha il dovere di diventare sempre più inclusiva e riconoscere i diritti. Una società che non lo fa rimane socialmente, culturalmente e politicamente arretrata”, e ancora: “Negli anni 80 era più che normale che un talk show in prima serata affrontasse un dibattito sul tema ‘ospiteresti un amico omosessuale a casa tua’”.

Eravamo presentati e rappresentati come una minaccia per la stabilità del paese e della famiglia. Quando vieni presentato in questo modo questo diventa la tua condanna” racconta il senatore Grillini.

La presentazione è stata un’occasione per porgergli qualche domanda anche alla luce degli accadimenti internazionali che nei giorni scorsi hanno preceduto la proiezione.

Pur avendo già visto questo documentario molte volte, quale è la cosa che la continua ad emozionare e che cosa crede possa far breccia in chi guarda?
È un film che grazie alla sapienza del regista ricostruisce una vita intera. La cosa che più mi emoziona è rivedere e rivedermi negli anni Ottanta e Novanta, quando ero ancora giovane. Adesso come sessantasettenne mi accorgo di come gli anni siano passati ad una velocità incredibile. La cosa più emozionante di questo film è proprio il poter mostrare che le battaglie le abbiamo fatte, hanno funzionato e abbiamo contribuito a cambiare il mondo. Sono molto contento della sua uscita, è un film a basso costo lavorato da Genoma ma che ha più che raggiunto il suo scopo: ricostruire un’era che poteva essere raccontata solo come storia orale perché internet non c’era e spesso non c’erano neanche testimonianze cartacee. Le parole erano davvero l’unico modo possibile per raccontare la nostra storia”.

 

Proprio in questi giorni abbiamo visto che i diritti non sono mai davvero al sicuro e tutelati. Come pensa che gli eventi negli Stati Uniti influenzeranno il nostro paese?
I diritti, come d’altronde la democrazia, non sono mai davvero garantiti. Negli ultimi anni abbiamo avuto modo di vedere numerosi paesi che da democrazie sono diventate dittature come la Russia. Dittature guerrafondaie. I diritti vanno sempre difesi, tutelati e promossi come se ogni giorno fosse il primo in cui sono stati approvati. Abbiamo visto il pessimo esempio degli Stati Uniti in cui è bastata l’elezione di tre giudici della Corte Suprema che stanno demolendo tutto ciò che di buono avevano fatto i governi precedenti. Dobbiamo sempre essere all’erta, detto in parole povere dobbiamo convincere il maggior numero di persone a capire l’importanza di determinate conquiste ma non solo per una comunità ma per tutti.

Le cose sono cambiate anche in Italia e non dobbiamo tornare indietro, per darne un esempio quest’anno in Italia ci sono stati 48 Pride mentre quarant’anni fa a quello di Bologna avevamo partecipato in 150… non solo bolognesi, ma da tutta Italia”.

di Riccardo Valle

About women: La cultura del possesso

About women: La cultura del possesso

About women: La cultura del possesso

Il reato di violenza sulle donne concerne una rosa di fenomeni comprendenti: femminicidio, violenza fisica e psicologica, stalking, subordinazione. L’ONU si è impegnata a bollare questo fenomeno come atto di violazione dei diritti della persona, ma né le organizzazioni internazionali né le singole nazioni sembrano essere in grado di intervenire adeguatamente, e l’Italia tra di loro.

La recente “brutta figura” di Barbara Palombelli in merito alle vittime di femminicidio può servire da spunto a una considerazione che, si intenda, non giustifica nessun tipo di aggressione e/o omicidio ma presuppone un discernimento tra l’atto di omicidio in quanto tale e quello di femminicidio, tenendo a mente che: non tutte le morti di donne sono ascrivibili alla dinamica di “femminicidio”, a differenza di quanto spesso i giornalisti “gridano” sulle maggiori testate. Per poterne parlare è infatti necessario un atto di omicidio doloso o preterintezionale, preceduto da comportamenti misogini da parte di un individuo di sesso maschile e di fatto fondato su una presunta disparità di genere dove la donna è considerata inferiore e dunque sottoponibile a una dinamica patriarcale di subordinazione e assoggettamento tanto fisico quanto psicologico.
Da alcune rilevazioni Istat (Istat-2014) risulta che circa il 31.5% delle donne italiane in età compresa tra i 16 e i 70 anni abbia subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, di cui solo il 13.6% da partner o ex partner. La maggior parte delle violenze subite avvengono infatti da estranei. Il dato, già sconcertante in sé, lascia intendere che per questi uomini, una donna in quanto tale, possa essere posseduta fisicamente per il solo fatto di essere donna, inferiore, strumento di conseguimento di un personale piacere: illegale e lesivo della persona che subisce ma, evidentemente, irrilevante per il carnefice.
La violenza fisica non risulta tuttavia essere l’unica forma di violenza, a essere coinvolte sono anche forme violenza psicologica, economica, svalorizzazione e intimidazione, che colpiscono il 26,4% delle donne. Dinamica che aprirebbe un più ampio, ma poco attinente, discorso sulla disparità di genere di salario e impiego in Italia, disparità che spesso rende le donne economicamente dipendenti dai partner, in una logica di possesso che sembra cifra della cultura italiana da decenni.
La recente pandemia sembra non aver migliorato la situazione. Nel corso del 2020 infatti, le chiamate al 1522 (numero di emergenza contro la violenza sulle donne e stalking), sono aumentate rispetto allo stesso periodo del 2019 del 79.5%. Segnalazioni perlopiù circa violenze di carattere fisico, tra le quali aumenta la quota di vittime under 24 di 2 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Neppure in termini di femminici la situazione sembra migliore, nel 2021 dati raccolti dal Dipartimento di Sicurezza del Ministero dell’Interno hanno rilevato l’essersi verificati già 178 femminicidi dall’inizio dell’anno, dove le regioni maggiormente soggette sono state: Lombardia, Emilia Romagna, Lazio e Sicilia.
Sembra “solo” retorica, ma i dati smentiscono le infondate accuse. Un problema sociale in Italia, non certo irrilevante, sembra essere la logica maschile di predominio sulla donna. Molti uomini dimenticano come ogni atto di violenza sia una violazione di un diritto umano, diritto riconosciuto dall’ONU. Ogni atto di violenza provoca gravi ripercussioni tanto sulla salute fisica, quanto su quella mentale delle vittime (ed eventuali figli e famiglie), segnandole indelebilmente per tutto l’arco della loro vita. La Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, celebrata ogni 25 novembre, pone sotto gli occhi di tutti una drammatica verità: che il fenomeno è globale, che non appartiene solo a culture indigene, “poco progredite” diremmo noi, ma coinvolge tutti i cittadini del mondo e assegna loro la responsabilità di intervenire per estirpare una dinamica profondamente radicata nel sesso maschile da secoli.

Fonti:
Istat, 2014
Sky Tg24
Il Fatto Quotidiano
Ministero della Salute

Martina Tamengo

U. Eco una volta disse che leggere, è come aver vissuto cinquemila anni, un’immortalità all’indietro di tutti i personaggi nei quali ci si è imbattuti.

Scrivere per me è restituzione, condivisione di sè e riflessione sulla realtà. Io mi chiamo Martina e sono una studentessa di Lettere Moderne.

Leggo animata dal desiderio di poter riconoscere una parte di me, in tempi e luoghi che mi sono distanti. Scrivo mossa dalla fiducia nella possibilità di condividere temi, che servano da spunto di riflessione poiché trovo nella capacità di pensiero dell’uomo, un dono inestimabile che non varrebbe la pena sprecare.