La pochezza di Marco Cesaroni: visioni da quarantena

La pochezza di Marco Cesaroni: visioni da quarantena

La pochezza di Marco Cesaroni: visioni da quarantena

Marco Cesaroni non è come il vino, ma è il primo cocktail annacquato che bevi da quattordicenne: poi ti rendi conto di quanto tu possa trovare di meglio.

Le serie tv sono come il vino: alcune invecchiano bene, altre non molto, ma le bevi lo stesso per la tua voglia di evadere. I Cesaroni sono come un vecchio vinello non troppo buono, ma a cui leghi un sacco di ricordi e, quando lo riassaggi costretto in casa dalla quarantena e dalle poche alternative videoludiche su Amazon Prime Video, ti rendi conto di quanto non fosse tanto la serie a tenerti attaccato allo schermo, ma la tua giovane età.

Marco Cesaroni non è come il vino, ma è il primo cocktail annacquato che bevi da quattordicenne: sul momento ti sembra la migliore alternativa sul mercato, poi ti rendi conto di quanto tu possa trovare di meglio. Un personaggio con qualche pregio e una serie di difetti lunghissima, dai capelli a quel narcisismo onanistico che lo porta costantemente a vivere la propria vita guardandosi allo specchio. Vediamo i suoi pro e i suoi contro.

Marco Cesaroni

Un latin lover d’eccezione, Marco Cesaroni avrebbe bisogno di più dita sulle mani per poter contare le donne con cui ha avuto una relazione (anche quelle durate il tempo di una passeggiata al parco). Marco le seduce tutte, sarà lo sguardo misterioso, quel fare da eterno ragazzino, quell’anima dannata da musicista incompreso… le seduce tutte, ma non ha molto rispetto per loro. Un rubacuori, un dongiovanni, un eroe mitico dal quale Teseo ha solo da imparare.

Marco Cesaroni seduce e abbandona, per prima Veronica quando conosce Eva e poi la stessa Eva quando decide di fare la pazza fuga a Londra per dimenticarsi di lei. Perché va bene essere innamorati, ma se ci scappa il coccolone a tuo padre forse è necessario rivedere i propri ideali. Eva per non dire Rachele (aka Martina Colombari), forse l’unica a “mollare” e non “essere mollata”, per non dire Simona.

In tutto questo ambaradan di relazioni effettive e mancate, di amori caduchi e colpi di fulmine, Marco Cesaroni – ciliegina sulla torta – riesce a farsi pure la Colombari. Una donna adulta, realizzata, con un divorzio alle spalle e tanti sogni nel cassetto, esattamente come Marco. Il quale avrà anche tanti difetti, ma ha realizzato un sogno (erotico) di milioni di italiani, che in quegli anni guardavano affamati di desiderio le pagine patinate di Max, invidiando Costacurta e maledicendolo non solo la domenica pomeriggio, ma anche il lunedì sera.

Marco si piace, si compiace, si fissa allo specchio mentre suona, sempre con quel plettro in bocca che ti fa chiedere: ma un tavolo dove poggiarlo non ce l’hai? Parla con una voce bassa e sussurrata (speriamo per scelta del regista, perché se fossero le capacità di recitazione di Branciamore avremmo un serio problema). Insomma: Marco Cesaroni è uno di quei personaggi che fa l’amore davanti allo specchio, fissandosi bramosamente il petto villoso.

Ma “villoso” nel suo caso non è sinonimo di “adulto” o “cresciutello”, perché dall’alto dei suoi diciannove anni Marco si rivela essere un adolescente immaturo ed egocentrico. Come tutti i sedicenni, crede di aver capito tutto. Lui sa come va la vita e ha deciso che non vuole fare l’università, che vuole fare il cantante. Una scelta nobile, certo, ma si tratta di una strada tortuosa che può intraprendere solo perché ha una famiglia numerosa pronto a guardargli le spalle qualsiasi cosa succeda, un piatto caldo davanti e un tetto sotto il quale tornare. Non ha esattamente capito come gira il mondo, non ha capito che un giorno avrà bisogno di portare il pane a casa e di mantenersi, ma non sono discorsi che gli interessano. Lui è ancora un fanciullino, pensa ancora alle ragazze e alla musica, non ha la testa per i ragionamenti da uomo maturo. Quelli verranno poi.

Per Marco esiste solo lui, non c’è niente intorno a cui valga la pena pensare o interessarsi. Non gliene frega di niente e di nessuno se non della sua chitarra. Chissenefrega, se la cosa non lo tange, lui non è tenuto a preoccuparsi. Sorella incinta, complicanze di gravidanza, problema fondamentale: “non hai ascoltato tutto il mio concerto!!!11!!”. Nessuna empatia, nessuna emozione. Che a giudicare dai suoi testi di basso livello è anche comprensibile.

Va bene, la pizza e la mortadella staranno anche bene in un forno a legna, ma come canzone di punta di un disco non si possono sentire. Veronica, la sua prima ragazza nella serie, per descriverlo lo definisce un “Califano de ‘noantri”. E ci dispiace per Califano. Nel corso della serie smussa un po’ questo difetto, ma non riesce mai a staccarsi da una serie di luoghi comuni, parole vecchie e tristezze nuove.

Brutte le sue canzoni, terrificanti i suoi capelli. E se è vero che spesso le donne in un uomo guardano anche quelli, questa è la conferma che non è chiaro come possa Marco saltare da un letto all’altro. Partiamo da un taglio lungo folto e incolto, indescrivibile e non sempre pulito, per poi passare nella terza stagione a un corto più ordinato e meno da poeta (o musicista) maledetto. Bene ma non benissimo, non ci vuole un personal stylist per accorgersi che certe cose proprio non ci donano. Ma Marco, Narciso incompreso, più che di un bravo parrucchiere ha bisogno proprio di un po’ di buongusto.

Potremmo definirlo un “odierno Onan”, il personaggio biblico che nella Genesi ricorse alla pratica del coito interrotto per evitare la nascita di un figlio che non avrebbe potuto portare il suo nome perché avrebbe invece dovuto garantire una posterità al fratello. Come Onan, Marco si avvicina all’obiettivo ma poi disperde in giro il suo seme (metaforicamente, si intende), vanificando ogni sforzo. Potrebbe realizzare il sogno di tutti: vivere per bere e bere per vivere, ma non lo fa. Lui è un cantante. Con una chitarra scordata e le canzoni in playback. Insomma, c’è chi lo definirebbe un po’ un JD di Scrubs, data la tendenza a non ottenere mai la gioia tanto agognata, fermandosi poco prima del traguardo, ma in realtà non è altro che un onanista fan del coito di felicità interrotto.

Un’eterna ricerca che fa di lui un traditore seriale. Sta con Veronica, ma si innamora di Eva, nel frattempo si fa Beatrice. Ama Eva, si mette con Rachele, ma torna a pensare alla sorellastra, con cui si metterà, ma che tradirà con la sua manager, con la quale, nella terza stagione, ha avuto anche una relazione, mentre, comunque, faceva il fidanzato della sorellastra part-time. Insomma Marco, o fai pace con il cervello, o il Nokia 3210 che sfoggiavi nella prima stagione, con una capienza di 20 messaggi e 30 numeri, non basterà a contenere la sfilza di squinzie che ti trovi.

PRO

  • Ci sa fare con le donne… ma non sa nemmeno lui come
  • Si fa la Colombari

CONTRO

  • Narcisista
  • Immaturo
  • Poco rispettoso nei confronti delle donne
  • Testi delle canzoni di basso livello
  • Capelli terrificanti
  • Onanista
  • Traditore seriale
  • Egocentrico
  • Empatia zero

VOTO: 2/10

Due, come i soli due pregi che in questa sede ci sentiamo di attribuirgli (e che, volendo, potrebbero essere riassunti in uno unico). Marco potrebbe essere il personaggio perfetto per una serie tv: un musicista fuori dagli schemi che vuole inseguire i suoi sogni fregandosene di ciò che gli viene imposto, giovane e audace, piacente e dall’aria misteriosa, ma finisce per essere una brutta copia dell’eroe del labirinto con tante idee e poco chiare. E un pessimo parrucchiere.

 

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Gaia Rossetti

Sono una gastrocuriosa e sarò un'antropologa.
Mia nonna dice che sono anche bella e intelligente, il problema è che ho un ego gigantesco. Parlo di cibo il 60% del tempo, il restante 40% lo passo a coccolare cagnetti e a far lievitare cose.
Su questi schermi mi occupo di cultura del cibo e letteratura ed esprimo solo giudizi non richiesti.

“Let me be”, il nuovo singolo di Fabio Gómez dagli ascolti record

“Let me be”, il nuovo singolo di Fabio Gómez dagli ascolti record

“Let me be”, il nuovo singolo di Fabio Gómez dagli ascolti record

Let Me Be, il singolo di nuovissima uscita del cantautore italo svizzero Fabio Gómez, continua ad ottenere ottimi risultati con oltre 630.000 visualizzazioni su YouTube e la rotazione in cinquanta network radiofonici

Fabio Gómez, cantautore italo-spagnolo, è nato a Berna, in Svizzera, e ha iniziato la sua carriera musicale nel coro Gospel Amazing Grace.  Ha frequentato seminari New Gospel a Chicago e ha preso parte alla prestigiosa Accademia di Sanremo. Nel 2016 esce Niente è Impossibile, un album contenente 7 brani, tutti scritti dall’artista

Nel 2020 conosce Marco Zangirolami, produttore di tendenza nel panorama musicale italiano: decidono di produrre un album internazionale e pubblicano il singolo OVER con un videoclip girato interamente a New York, di cui sono disponibili la versione Dance “Rainbow Remix” e la versione chill-out Smooth Jazz, “Monte Carlo Mix”. A maggio 2021 viene pubblicata la versione spagnola di OVER intitolata SIEMPRE, lanciata in America Latina e in Spagna e accompagnata da un tour mediatico in diversi paesi tra cui anche gli Stati Uniti, toccando le città di Miami e San Francisco.  Il singolo è stato trasmesso su tutte le radio del Venezuela e dalla TV nazionale TELEVEN ed è andato in onda anche in Messico, Colombia, Argentina e Uruguay.

Ognuno di noi dimensiona il mondo in base alla propria dimensione: l’importante è esserne consapevoli! 

L’aforisma di Fabio Gómez apre uno scenario profondo sulle relazioni sentimentali. Spesso proiettiamo le nostre aspettative creandoci delle gabbie dorate di false convinzioni. L’amore diventa così ipnotico a tal punto da creare prigioni emotive: dimensioni surreali. Let Me Be è un inno alla libertà, al cambiamento e alle scelte combattute a volte radicali, ma che ci permettono di evolvere. Let Me Be sta per “lasciami stare”, ci eravamo creati una vita parallela fatta di bugie, di un amore impossibile e di sogni illusori: è ora di andare via.

 

Il genere musicale di Fabio Gomez è difficile da etichettare. L’artista negli anni è passato dal pop contaminato alla trasformazione Pop-Swag evolvendo nell’ Elettro Dance Music, variando anche con mix Chillout Smooth Jazz per arrivare all’attuale Elettro/Pop/Dance di Let Me Be dove la scelta stilistica di arrangiamenti è di vario genere, da una prima stesura a pianoforte, alla scelta ritmica dance, all’aggiunta di Synth e di Keyboards anni 80’s ispirate da Van Hallen e da gruppi rock come i “Journey” per arrivare alle ultime progressioni ritmiche latine rafforzate dalle Conga. La produzione artistica è stata curata da Marco ZangirolamiPeggy Johnson e Mila Ortiz che vantano prestigiose collaborazioni internazionali. 

Il video è stato girato interamente a New York City in location straordinarie: all’interno del Guggenheim Museum, Central Park, Brooklyn Bridge, Rockefeller Center e l’Empire State Building. Parte del video è stato girato anche sull’isola “Governors Island” da dove si può ammirare tutta la Big Apple e la Statua della Libertà. Nelle scene si intravedono anche Dumbo (Brooklyn) e il Plaza Hotel.

Il Metaverso diventa Arte: “De Metaeverse”, cripto arte all’asta

Il Metaverso diventa Arte: “De Metaeverse”, cripto arte all’asta

Il Metaverso diventa Arte: “De Metaeverse”, cripto arte all’asta

Analogico e digitale, classico e contemporaneo si uniscono per creare un nuovo linguaggio, quello di “De Metaeverse”, all’asta sul sito di crypto arte più quotato al mondo il 10 Febbraio 2022

Il 10 Febbraio 2022 SuperRare.com, il sito di crypto arte più quotato al mondo, metterà all’asta De Metæverse, un’opera NFT realizzata a quattro mani da Matteo Mauro e Emanuele Dascanio, due artisti che utilizzano tecniche pittoriche opposte e che hanno deciso di fondere le loro arti in questo straordinario lavoro.

Considerato uno dei più bravi disegnatori del mondo, utilizzando una delle tecniche più antiche e classiche, il disegno a grafite e carboncino, Emanuele Dascanio realizza opere d’arte di straordinaria bellezza, alcune delle quali vendute per oltre 500 mila dollari. Con tratti sapienti, in totale allineamento col modus pensandi dei grandi maestri del passato, Emanuele Dascanio riesce a ricreare luci ed ombre, profondità ed espressività nel contesto di una poetica iperrealista usando una delle tecniche più antiche e classiche: la matita

Specularmente, Matteo Mauro è quanto di più moderno e contemporaneo offra oggi il panorama artistico. Le sue opere usano il linguaggio innovativo del digitale, ricercando vecchi e nuovi metodi di espressione creativa e ricorrendo a diverse tecniche digitali di rappresentazione. Le sue linee, ordinate con un particolare algoritmo, creano un affascinante effetto luce/ombra, che lo ha reso uno degli artisti NFT più apprezzati a livello internazionale.

Ad accomunare i due artisti, entrambi italiani di nascita (milanese Dascanio e catanese Mauro), è il loro sentirsi cittadini del mondo, e la ricerca di un linguaggio espressivo personale a partire dalla reinterpretazione dell’arte classica. Un linguaggio che sappia raccontare il proprio modo di vedere il mondo esterno, ma anche il mondo interiore. Inoltre, entrambi gli artisti fanno parte della collezione permanente al Museo Macs. 

Una contaminazione di arti che ha portato alla nascita di una crypto opera di grandissima espressività. Un lavoro in bianco e nero, dove a fare la differenza sono le sfumature. Le linee si perdono in un effetto tromp l’oeil, che ci ricorda l’importanza del punto di vista, nell’arte come nella vita reale. C’è caos e ordine allo stesso tempo, elementi di un’epoca lontana e richiami ai giorni d’oggi. In primo piano vediamo una giovane ragazza dallo sguardo molto intenso, che sembra voler raccontare allo spettatore il segreto che si nasconde nel quadro.

L’opera recita il brano: “In the beginning there was Chaos, a dark Vortex, source of vertigo and confusion; This darkness gave birth to Eurinome, beautiful Goddess of all things. Her first act was to divide the Sky from the Sea; she then began an elegant dance on the waves that produced the Creative Wind, which fertilized and generated all art things from that moment on. The Metaverse is made of events not things”.

(In principio c’era il Caos, un Vortice oscuro, fonte di vertigine e confusione; questa oscurità diede vita a Eurinome, bellissima Dea di tutte le cose. Il suo primo atto fu quello di dividere il Cielo dal Mare; poi iniziò un’elegante danza sulle onde che produsse il Vento Creativo, che fecondò e generò tutte le cose d’arte da quel momento in poi. Il Metaverso è fatto di eventi, non di cose.

L’asta per De Metæverse inizierà alle ore 10.00 del 10 Febbraio 2022, e partirà da una base di 1$.

Il dito di Dio: il viaggio di Pablo Trincia nel naufragio della Costa Concordia

Il dito di Dio: il viaggio di Pablo Trincia nel naufragio della Costa Concordia

Il dito di Dio: il viaggio di Pablo Trincia nel naufragio della Costa Concordia

Il dito di Dio – Voci dalla Concordia è il nuovo podcast di Paolo Trincia sul naufragio della Costa Concordia del 13 gennaio 2012, un viaggio empatico fra le macerie e le narrazioni di chi è rimasto.

Dieci anni dal naufragio della Costa Concordia. Tutti ricordiamo esattamente dove eravamo e cosa stavamo facendo nel momento in cui abbiamo saputo quello che stava succedendo nel mare nostrum, al largo della costa dell’Isola del Giglio. Tutti lo ricordiamo perché è stato un evento inaspettato, incredibile.

Chi avrebbe mai detto che nel 2012 le navi potessero ancora scontrarsi con gli scogli e, di conseguenza, naufragare? Chi avrebbe mai detto che nel ventunesimo secolo la gente sarebbe ancora morta in mare? Nessuno. Per questo il naufragio della Costa Concordia è considerato uno spartiacque nella storia della navigazione in Italia e occorre mantenerne ancora vivo il ricordo.

Per ricordare ciò che accadde la notte del 13 gennaio 2012, Pablo Trincia ripercorre al millesimo di secondo gli eventi, i momenti, gli errori che hanno portato alla tragedia ascoltando le voci di chi, quella notte, l’ha vissuta. Di chi ha avuto paura davvero e di chi quella notte ha perso qualcosa. Trincia, ospite di Daria Bignardi all’Ora Daria, parla di “un incidente evitabilissimo. Ma il vero dramma comincia dopo per la gestione dell’emergenza e dell’abbandono nave. I passeggeri si ritrovano senza nessun tipo di informazione mentre questa nave si inclina sempre di più e tutte le norme di sicurezza vengono ignorate. In molti non riescono ad abbandonare la nave perché, per via dell’inclinazione raggiunta, le scialuppe ad un certo punto non riescono più a scendere. Ci sono state delle coincidenze assurde, le storie delle persone sono legate fra di loro, in molti ancora si sentono dopo tutto questo tempo. Abbiamo visto viltà, menzogne e cialtroneria ma tanta umanità, non deve restare solo la storia di Schettino ma anche il ricordo di cosa siamo capaci di fare in senso positivo. La cosa più assurda di quest’incidente è la stupidità”.

Pablo Trincia, dal suo profilo Instagram

Pablo Trincia non opera però una condanna. Le storie di quattromila ospiti, quattromila persone, quattromila naufraghi diventano nove episodi di un podcast originale Spotify prodotto da Chora Media. Un podcast profondo e spiazzante fatto di interviste, racconti, domande e dubbi che piano piano vengono dissipati come nodi che si allentano. Storie di terrore e di rabbia che nel corso della notte diventano legami a cui aggrapparsi, che da quel giorno non si sono mai più sciolti.

Se dovessimo descrivere con una sola parola il lavoro di Pablo Trincia non ci sarebbero dubbi, sarebbe “empatia”. Trincia ha un modo di indagare la vita delle persone e i momenti salienti in un modo così delicato, senza pretese, senza forzature, con leggerezza. Quella leggerezza che, diceva il saggio, “non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto”.

Pablo Trincia è un uomo buono, un cantastorie, un amante della cronaca e un estimatore della verità. Lo avevamo capito con Veleno – podcast, poi libro e poi docu-serie Amazon Prime Video che ricostruisce la storia dei Diavoli della Bassa Modenese – ne abbiamo avuto la conferma con Il dito di DioVoci dalla Concordia. Si tratta di un podcast imperdibile, nel quale Pablo Trincia ha dimostrato ancora una volta di essere un vero maestro nell’utilizzo di questo “nuovo” mezzo di comunicazione.

 

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Gaia Rossetti

Sono una gastrocuriosa e sarò un'antropologa.
Mia nonna dice che sono anche bella e intelligente, il problema è che ho un ego gigantesco. Parlo di cibo il 60% del tempo, il restante 40% lo passo a coccolare cagnetti e a far lievitare cose.
Su questi schermi mi occupo di cultura del cibo e letteratura ed esprimo solo giudizi non richiesti.

Avevamo davvero bisogno del pollo fritto vegan?

Avevamo davvero bisogno del pollo fritto vegan?

Avevamo davvero bisogno del pollo fritto vegan?

Nei ristoranti americani di KFC arriva il nuovo Beyond Fried Chicken, l’alternativa vegan al famosissimo pollo fritto. Ma era davvero ciò di cui avevamo bisogno?

Da questa settimana tutti i ristoranti americani KFC grazie alla collaborazione con Beyond Meat, il brand famoso per aver creato in laboratorio un alimento vegetale che per gusto e consistenza si avvicina spaventosamente alla carne, proporranno in menù il nuovo Beyond Fried Chicken, una versione plant baseddel pollo fritto del celeberrimo fast food.

KFC aveva già testato il gradimento del pollo vegan nel 2019 ad Atlanta e i risultati annunciarono un incredibile successo, tanto che le scorte esaurirono in meno di cinque ore. I clienti statunitensi sembrano dunque apprezzare prodotti alternativi. Un grande passo, ma con delle complicazioni: KFC precisa in una nota ufficiale che la preparazione non sarà né vegana né vegetariana. Con molta probabilità, le pepite di pollo vegan verranno fritte nello stesso olio di quelle classiche o comunque entreranno in contatto con ingredienti di origine animale. Nel fast food, dunque, non sarà da escludere la possibilità di contaminazione incrociata.

Nonostante questo, Beyond Meat è più che orgogliosa di questa collaborazione che aprirà al grande pubblico la possibilità di consumare alimenti plant based anche al fast food. “Non potremmo essere più orgogliosi di collaborare con KFC per offrire un prodotto che non solo offre la deliziosa esperienza che i consumatori si aspettano da questa catena iconica, ma offre anche i vantaggi aggiuntivi della carne a base vegetale”, ha affermato Ethan Brown, Fondatore e CEO di Beyond Meat. “Siamo davvero entusiasti di renderlo disponibile ai consumatori a livello nazionale”.

Un successo di cui essere orgogliosi, ma che non arriva certo inaspettato. Nel mondo, la percentuale di persone che decide di avvicinarsi a un’alimentazione vegana o vegetariana è continuamente in ascesa. Si pensi solamente al caso italiano: secondo il Rapporto Italia 2021 di Eurispes, quasi una persona su dieci sulla penisola è vegana o vegetariana. Secondo i risultati dell’indagine annuale vegetariani e vegani sono l’8.2% della popolazione, sopra la media del periodo che va dal 2014 a oggi (7.5%). C’è anche chi afferma di non seguire attualmente una dieta priva di prodotti animali, ma di averlo fatto in passato: il 6% degli uomini e il 7.3% delle donne.

Cosa spinge gli italiani ad abbracciare questi regimi alimentari? Per il 23,1% degli intervistati, la scelta vegetariana/vegana si inserisce in uno stile di vita improntato al rispetto degli animali e del pianeta, mentre il 21,3% delle persone è spinto da motivazioni salutistiche. Altri ancora riferiscono di aver scelto una dieta vegetariana o vegana per ragioni esclusivamente animaliste (20,7%). C’è poi chi cita il rispetto dell’ambiente (11,2%), chi ammette di essere guidato dalla curiosità verso nuovi regimi alimentari (9,5%) e chi dice di farloper mangiare “meno e meglio” (5,9%).

Aldilà delle scelte etiche e sostenibili, sulle quali siamo liberi di discutere, ma non pretendere di avere ragione, quello che dobbiamo veramente chiederci è: avevamo davvero bisogno del pollo fritto vegan? Di un alimento fritto, unto e bisunto, commerciale che non ha nulla di ciò che esprime il suo nome, del “pollo”? Non bastano più le mille preparazioni possibili a base di legumi, verdure e cereali di cui è così ghiotta la dieta mediterranea? Perché chi decide di optare per un’alimentazione vegetariana o vegana dovrebbe sentire il bisogno di reintrodurre un alimento che al gusto e al tatto ricordi il pollo?

Il pollo fritto vegan non è altro che un alimento studiato in laboratorio, risultato di calcoli chimici e sviluppi fisici per garantire alla crocchetta una somiglianza quanto più possibile vicina alla carne vera. Il problema non è decidere di mangiare plant based, ma che bisogno c’era di mangiare piante che sanno di pollo? Dobbiamo domandarci questo, allora. Se siamo pronti per rimpiazzare un’alimentazione tradizionale, mediterranea, fatta di prodotti della terra, con pietanze chimiche, studiate, che non sono fatte di carne, ma ce ne ricordano il sapore. Un controsenso, no?

Gaia Rossetti

Sono una gastrocuriosa e sarò un'antropologa.
Mia nonna dice che sono anche bella e intelligente, il problema è che ho un ego gigantesco. Parlo di cibo il 60% del tempo, il restante 40% lo passo a coccolare cagnetti e a far lievitare cose.
Su questi schermi mi occupo di cultura del cibo e letteratura ed esprimo solo giudizi non richiesti.