Alda Merini e l’amore per la poesia

Alda Merini e l’amore per la poesia

Alda Merini e l’amore per la poesia

Alda Merini, poetessa milanese scomparsa nel 2009, ha raccontato in versi l’amore carnale e l’amore per la poesia, sua compagna di vita. Ha testimoniato le sofferenze e il desiderio di libertà provate all’interno dei manicomi in cui è stata internata per diversi anni. 

Alda Merini nasceva il 21 marzo 1931 in una Milano che amava immensamente. Crebbe in una famiglia di umili condizioni e frequentò un istituto professionale. Cercò di trasferirsi al liceo Manzoni, ma non superò il test di italiano e si dedicò a studiare pianoforte. A quindici anni, però, emerse il suo talento e pubblicò due poesie all’interno di un’antologia. 

L’anno successivo, a soli sedici anni, comparvero i primi segni di una malattia che la perseguiterà per il resto della vita: il disturbo bipolare. Erano anni bui per le persone considerate pazze, internate nei manicomi senza alternative. La poetessa milanese non ricevette cure adeguate, ma solo numerose privazioni, subendo l’elettroshock. In quei luoghi dediti a torture ancora legali per diversi anni, Alda Merini riuscì a concepire poesie meravigliose, intense e forti, contrastando la bruttezza che la circondava. Da questa esperienza, infatti, nacque la raccolta La terra santa: un viaggio che attraversa i momenti vissuti all’interno del manicomio.
È stata marchiata dal fardello della follia, una compagna di vita scomoda e limitante, ma che le ha permesso di vedere il mondo da un altro punto di vista. Leggiamo un pezzo della lunga e struggente poesia Laggiù dove morivano i dannati: 

[…]
Laggiù nel manicomio
dove le urla venivano attutite
da sanguinari cuscini
laggiù tu vedevi Iddio
non so, tra le traslucide idee
della tua grande follia.
[…]

Il manicomio era il posto in cui non si poteva urlare il proprio dolore, dove non c’era posto per l’umanità e le urla venivano soffocate. È in quella mancanza che Alda Merini trovò Dio, lo vide in mezzo al nulla e lo sentì tra le pareti del silenzio. Credeva in Dio, pur non accettando che il sesso fosse trattato come un peccato. Ella amava l’amore sentimentale e il desiderio carnale, protagonisti di numerose poesie. Si innamorava continuamente, accettando anche la conseguente sofferenza. Visse relazioni difficili e conobbe uomini complicati, infedeli, che non le donavano tutto l’amore che lei dava loro. È in quell’amore, tra le braccia di un uomo, che riesce a stare bene. Ce lo racconta nella poesia C’è un posto nel mondo dove il cuore batte forte: 

C’è un posto nel mondo
dove il cuore batte forte,
dove rimani senza fiato,
per quanta emozione provi,
dove il tempo si ferma
e non hai più l’età;
quel posto è tra le tue braccia
in cui non invecchia il cuore,
mentre la mente non smette mai di sognare…
Da lì fuggir non potrò
poiché la fantasia d’incanto
risente il nostro calore e no…
non permetterò mai
ch’io possa rinunciar a chi
d’amor mi sa far volar.

Non può fuggire da quel posto, fonte di una felicità priva di eguali. Non può e non sa rinunciarvi perché anche se il tempo passa e si riversa sul corpo, lì il cuore non invecchia mai. Rimane vivo. 

Alda Merini era sposata con un panettiere, ma in seguito alla sua morte sposò il poeta Michele Pierri, che aveva apprezzato molto le sue poesie. Si trasferì per tre anni a Taranto e scrisse il suo primo libro in prosa: L’altra verità. Diario di una diversa. A Taranto, però, venne nuovamente internata e visse anni terribili, le impedirono anche di vedere le figlie. Soltanto dopo il 1978, anno in cui la Legge Basaglia chiuse i manicomi, Alda Merini poté ritrovare la serenità perduta.

Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
[…]
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all’umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello a Giona.

Questa poesia, contenuta nella raccolta La terra santa, presenta un’antitesi tra la poesia, bella e delicata, e la pietra, dura e pesante. Alda Merini vuole dirci che non c’è bellezza senza sofferenza. Scrisse molte delle sue poesie in un manicomio, un luogo in cui ha subìto umiliazioni, ma quelle ginocchia piegate non le hanno impedito di inseguire la bellezza. È lì che cercò il mistero, trovandolo tra i versi di una poesia scritta col sangue. Tu, poeta, sei un pazzo criminale e detti versi all’umanità: consegni agli uomini i versi della rivincita, della speranza. Tu, poeta, sei fratello a Giona: sei come il profeta Giona, che trasgredì il dovere dettato da Dio, fuggendo e isolandosi da tutti gli altri. 

I poeti trovano sé stessi di notte, quando gli altri dormono e non hanno fretta di finire. Scrivono quando le piazze sono vuote e l’unico rumore che si ode è quello delle lancette: 

I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
[…]

Alda Merini visse una vita difficile, violenta e accusata di essere folle. Non smise mai di cercare, creare e amare. Mise su carta le proprie emozioni, altalenanti e forti, consegnandoci fragilità, coraggio e speranza. È stata e continua a essere una delle poetesse più espressive e talentuose del Novecento, e non solo. Non è stata compresa per molto tempo, ma la penna le è rimasta fedele tra le dita. 

O poesia, non venirmi addosso
sei come una montagna pesante,
mi schiacci come un moscerino;
[…]

La poesia è violenta con lei, la teme, come alcuni uomini che ha conosciuto. Eppure, non può fare a meno di amarla e noi non possiamo non amare i suoi versi. 

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

Pasolini tra realismo e malinconia

Pasolini tra realismo e malinconia

Pasolini tra realismo e malinconia

Pier Paolo Pasolini ha scritto opere intrise di originalità e realismo, ha sposato un incredibile coraggio e ha subìto denunce, processi e arresti. Prima scrittore di romanzi, quali Ragazzi di vita e Una vita violenta, poi sceneggiatore e giornalista.

Pasolini nasceva il 5 marzo 1922 a Bologna in una famiglia borghese. Seguì le orme della madre, un’insegante, laureandosi in Lettere e svolgendo la professione di maestro. Rimase con lei per un periodo nel Friuli, mentre il fratello era un partigiano che in seguito venne ucciso.
I primi problemi nacquero a causa delle sue tendenze omosessuali, che la scuola pubblica non accettava, e fu costretto a lasciare l’insegnamento. Per il medesimo motivo venne espulso dal partito comunista.

A seguito di usa serie di accuse, si trasferì a Roma con la madre e visse anni difficili. Trovò lavoro come insegnante in alcune scuole private e in tale occasione conobbe i ragazzi di borgata, che ispirarono i suoi grandi romanzi di successo: Ragazzi di vita e Una vita violenta.

Ragazzi di vita fu un vero e proprio successo editoriale e fece sorgere molte polemiche, a causa di espliciti riferimenti al sesso e a un uso linguistico estremamente realistico, che riproduceva in modo fedele le espressioni utilizzate da quegli stessi ragazzi romani che Pasolini conosceva.
È un romanzo che racconta le condizioni di miseria, la quotidianità e gli atti crudeli e violenti – truffe e furti – dei giovani ragazzi appartenenti a un ambiente difficile nel secondo dopoguerra.

“Faceva un caldo che non era scirocco e non era arsura, ma era soltanto caldo. Era come una mano di colore data sul venticello, sui muri gialletti della borgata, sui prati, sui carretti, sugli autobus coi grappoli agli sportelli. Una mano di colore ch’era tutta l’allegria e la miseria delle notti d’estate del presente e del passato.”

Quello che Pasolini racconta è la vita vera, spietata e crudele, che i personaggi del suo romanzo cercano di affrontare per sopravvivere.

Una vita violenta è il secondo romanzo di Pasolini, pubblicato nel 1959, che riprende le tematiche, le ambientazioni e i problemi del primo. La borgata è ancora al centro, ma raccontata attraverso la vita di Tommaso Puzzilli, un ragazzo che cerca di sopravvivere alla miseria della periferia tra furti e prostituzione. Tutto cambia quando incontra Irene, una ragazza di cui si innamora. Vorrebbe trasformare la sua condizione, trovare una felicità che non ha mai sperimentato veramente, ma quella stessa vita sembra voltargli le spalle con violenza.
Nel 1961, dopo aver abbandonato la scrittura di romanzi per dedicarsi al cinema, Una vita violenta ispirerà il suo primo film, Accattone.

Pasolini non nascondeva la propria omosessualità, non mentiva presentando un’immagine distorta di sé. Si esponeva continuamente, polemizzando contro la società contemporanea, gli uomini di cultura e di partiti politici, contro i borghesi e soprattutto contro una Chiesa ricca ma poco attenta alla trasmissione del messaggio di Cristo. Il cristianesimo è al centro di un film del 1964, provocatorio e originale, Il vangelo secondo Matteo, in cui Cristo parla con gli apostoli di questioni sociali.

Pasolini forse auspicava alla promozione di una società utopica in cui fossero tutti uguali, in cui non esistessero giudizi e sopraffazioni e la gente avesse voglia di vivere.

Per conoscere il lato umano, familiare e personale di Pasolini dovremmo leggere la lunga lettera scritta da Oriana Fallaci dopo la sua morte, avvenuta il 2 novembre 1975. Venne assassinato da un giovane ragazzo delle borgate, in una zona desolata nei pressi di Ostia. C’è ancora un alone di mistero dietro una morte così brutale, un omicidio di cui non si conoscono le motivazioni.
Oriana Fallaci descrive Pasolini con parole intime, sincere e forti. Uniti dalla passione per la scrittura e per il giornalismo e da una profonda amicizia, ci hanno lasciato entrambi testi pieni di vita e morte, speranza e malinconia, amore e ingiustizie. Leggiamo insieme una delle parti più belle:

La malinconia te la portavi addosso come un profumo e la tragedia era l’unica situazione umana che tu capissi veramente. Se una persona non era infelice, non ti interessava. Ricordo con quale affetto, un giorno, ti chinasti su me e mi stringesti un polso e mormorasti: “Anche tu, quanto a disperazione, non scherzi!”.

Pasolini era un uomo uguale agli altri ma anche profondamente diverso da loro, era fragile e coraggioso, uno scrittore di cui quell’Italia aveva bisogno ma senza esserne consapevole.

 

 

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

Una sedia marrone e una sedia azzurra

Una sedia marrone e una sedia azzurra

Una sedia marrone e una sedia azzurra

Un amore già vissuto e un amore che forse sta per finire. Due persone si incontrano e raccontano i loro silenzi più nascosti.

Una sedia marrone e una sedia azzurra, fatte di legno, l’una accanto all’altra. Non troppo vicine, ma perfettamente allineate, rivolte verso l’esterno. Quando le vidi erano vuote, quando le toccai erano ancora calde, come se qualcuno le avesse occupate pochi minuti prima. Aspettai che arrivassero, presi la mia macchina fotografica e immortalai un momento che, forse, avevo solo immaginato. Ricostruii nella mia mente una storia, poi la vidi con i miei occhi. Un uomo anziano con pochi capelli bianchi ai lati della testa uscì dalla porta che si trovava accanto alla sedia marrone. Indossava una camicia bianca, sporca sui fianchi e con aperti i tre bottoni sotto il collo. Mi guardò per qualche istante, poi si sedette sulla sedia marrone e mise la testa fra le mani. Aspettai che qualcuno si sedesse accanto a lui, finsi di fotografare il paesaggio, oggetti insignificanti e il cielo azzurro e aspettai. I minuti passavano ma non succedeva niente e i miei pensieri correvano veloci in mezzo al silenzio.

Ripensai all’espressione di Marco pochi giorni prima, alla sua delusione e ai suoi occhi verdi. Mi chiese da quanto tempo andasse avanti, come se gli avessi confessato un tradimento. Il mio sentimento titubante nei suoi confronti era un tradimento per Marco, uno di quelli da cui non si ritorna indietro. Riemerse il mio senso di colpa, quello che avevo appreso da mia madre. Mi sentii sbagliata e colpevole ancora una volta, come ogni volta.

«Cosa ci fa poi con tutte quelle foto?» disse all’improvviso quell’uomo sconosciuto, distogliendomi dai miei pensieri cupi e solitari.
«Come, scusi?»
«Sono venti minuti che fa foto nello stesso punto, che ci fa poi? A cosa servono? Non c’è niente di speciale qui». La sua voce era profonda e leggermente rauca, ma dolce e calma. Il suo accento era quello di un uomo del sud.
«La maggior parte delle foto che faccio le tengo per me, alcune le pubblico per mostrarle agli altri. Adoro questo posto».
«Io ci abito da quarant’anni, lo conosco a memoria». Scoprii che era calabrese, di un piccolo paese in provincia di Reggio, e che si era trasferito a Bologna per studiare. Poi, però, suo padre non riuscì più a mantenerlo e dovette lasciare l’università per trovare lavoro. Abbandonammo le formalità, come da lui richiesto, e iniziammo a darci del tu.
«E che cosa studiavi?»
«Non ci crederai mai e ormai non ci credo nemmeno io, anzi mi viene da ridere quando penso che studiavo Giurisprudenza. Volevo fare l’avvocato, ma è stato meglio così, almeno nessuno si mette a ridere quando dico che faccio l’agricoltore». Sorrise e io insieme a lui. Mi chiese di sedermi accanto a lui sulla sedia azzurra che qualcuno aveva occupato quando non c’ero. «Non deve sedersi nessun altro qui?» gli chiesi indicando la sedia.
«No, questa era di mia moglie ma lei non c’è più, così adesso qualche volta faccio sedere mio figlio, quando si ricorda di venire a trovarmi. E ora faccio sedere te, così stai più comoda, dopo tutte quelle foto ti sarai stancata».
«No Giorgio, non posso…»
«Non essere sciocca, se non ti siedi me ne vado», mi disse sorridendo e guardandomi negli occhi. Il suo sguardo mi calmava, mi rassicurava. Era sincero e puro, velato da una profonda tristezza che cercava a tutti i costi di nascondere, non per mentire bensì per eliminare ogni traccia di compassione nello sguardo altrui.

Mi sedetti accanto a lui e continuammo a parlare di sua moglie, scomparsa l’anno precedente. Non gli chiesi com’era morta, mi disse soltanto che era malata da diversi anni e che negli ultimi mesi non ricordava più nulla, stentava a riconoscere perfino suo marito. Avevano costruito insieme ricordi per quasi quarant’anni e lei li aveva dimenticati tutti.

«Sai perché è azzurra questa sedia?»
«No, perché?»
«Un giorno di moltissimi anni fa ritornai a casa con due sedie uguali, entrambe marroni. Ero felice perché gliele avrei mostrate, era il mio regalo per il nostro anniversario. Tu ora penserai: “Giorgio, ma che regalo è scusa?”, e hai pure ragione, però per me era importantissimo. Ogni giorno quando volevamo sederci fuori dovevamo portare le sedie che stanno intorno al tavolo e poi riportarle dentro, così decisi di comprarne due e di lasciarle sempre qui fuori. Non vedevo l’ora di fargliele vedere, ma devi sapere che Giulia era pignola e aveva da ridire su tutto. Mi disse subito che quel colore non le piaceva, le metteva tristezza. Io ci rimasi male, però poi il giorno dopo presi la sua sedia, la portai in garage e la pitturai del suo colore preferito, l’azzurro. Quando la vide non ti dico che sorriso mi fece, ancora oggi quando ci penso sono felice». Giorgio sorrise e cancellò subito col dito una lacrima che annunciava di scendere sulla sua guancia destra.
«Io mi sarei emozionata tantissimo al posto suo, è un gesto dolcissimo».
«Alice, ma tu perché sei qui da sola oggi?» mi chiese, come se potesse leggere i miei pensieri.
«Volevo stare un po’ da sola…»
«Dimmi la verità Alice, tanto non lo dico mica a qualcuno» mi disse sorridendo.
«L’altro giorno ho detto a Marco che non so se lo amo, e non riesco a vivere con questo senso di colpa. Così ho pensato di venire qui da sola, ho lasciato il telefono a casa e ho portato con me solo la macchina fotografica. Fotografare mi calma, è terapeutico a volte. Mi permette di vedere i dettagli, di riguardare più volte qualcosa che ho già visto e di vederci dentro sempre qualcosa di nuovo».

«E in Marco non vedi più niente di nuovo?» Quella domanda rimase sospesa per un po’, ma Giorgio aspettò senza aggiungere altro.
«Forse è così, ma non voglio ammetterlo a me stessa. Vorrei soltanto amarlo come prima e non avere dubbi. Sarebbe tutto più semplice».
«Secondo me dovresti solo vederlo da una prospettiva diversa, come fai con le foto. Tutti se guardiamo la stessa cosa o la stessa persona tutti i giorni nello stesso modo poi ci stanchiamo. Funzioniamo così, siamo alla ricerca della novità, però per trovarla non dobbiamo per forza cercare qualcosa di nuovo, ma guardare le cose vecchie con occhi diversi. Può essere che non sia così, che davvero non lo ami più, però non arrenderti subito. Te lo diranno tutti, ma tu non farlo. Prendi questa sedia, ad esempio, è diventata nuova anche se era la stessa sedia di prima».
«A te è mai capitato di avere dei dubbi con tua moglie?»
«Secondo me è impossibile non avere mai dubbi in amore. Certo che mi è capitato, ma ero anche sicuro che sarebbero stati passeggeri perché eravamo uniti. Ero sicuro che avremmo superato qualsiasi dubbio e difficoltà».
«A me manca quella sicurezza…»
«Cercala, non è detto che la troverai ma almeno cercala».

Ero andata sui colli bolognesi un sabato mattina come tanti altri per scattare delle foto, ma conobbi Giorgio. Non credevo nel destino, ma attribuivo sempre un significato alle persone che incontravo per caso. Io e Giorgio non ci saremmo mai conosciuti, appartenevamo a due generazioni diverse e a due posti differenti. Quel giorno, però, lo incontrai e mi fece sedere sulla sedia azzurra che aveva occupato sua moglie per anni.
Rimasi fino a sera, continuammo a raccontarci, ma i suoi ricordi erano più nitidi dei miei, nonostante fossero più vecchi. Aveva imparato a conservarli per sopperire alle mancanze di Giulia, per non tralasciare nulla e ricordare per entrambi. Quella stessa sera chiamai Marco e gli chiesi di riprovarci, insieme, mettendo da parte i miei sensi di colpa.

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

Il tradimento degli opposti

Il tradimento degli opposti

Il tradimento degli opposti 

L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera possiede due opposti: la leggerezza e la pesantezza. C’è chi cerca la libertà di una vita priva di pesantezza, tradendo e tradendosi, e chi non può farne a meno. Viviamo cercando l’una ed evitando l’altra, ma se non ci fossero due estremi, se anche la leggerezza fosse insostenibile?

Milan Kundera ci consegna il viaggio di quattro amanti diversi: Tereza e Franz vivono nella stasi di una vita fedele ai doveri sociali e contrassegnata dalla pesantezza. Thomáš e Sabina sono alla continua ricerca di dinamicità, libertà, disprezzano le relazioni stabili e vivono una vita contrassegnata dalla leggerezza. Ma se fosse soltanto un’illusione?

Il romanzo è attraversato dal tradimento, vissuto diversamente da ciascuno di essi. C’è chi lo commette e chi lo subisce, c’è chi non può farne a meno e chi è divorato dal pesante fardello della gelosia, di un amore a metà.
Il tradimento è la ricerca della trasgressione e della fugacità, la conoscenza di un altro corpo, diverso da quello che si ha accanto ogni notte. Tradire serialmente significa vivere una vita fatta di ritorni mai definitivi: il ritorno dall’uomo o dalla donna che dorme accanto a noi e ci ama; il ritorno da un amante stabile o sconosciuto che ci permette di sbagliare ancora e ancora. Chi tradisce è consapevole dell’errore commesso, ma se continua a sbagliare rende quell’errore parte della propria vita. Ne ha bisogno, forse si disprezza, accettando di svegliarsi con un perenne senso di colpa pur di non rinunciarvi.

Thomáš ha molte amanti e spesso ritorna da una sola, Sabina. Tereza, invece, diventa improvvisamente la donna con cui condivide il letto di notte, per dormire.

Thomáš si diceva: fare l’amore con una donna e dormire con una donna sono due passioni non solo diverse ma quasi opposte. L’amore non si manifesta col desiderio di fare l’amore (desiderio che si applica a una quantità infinita di donne) ma col desiderio di dormire insieme (desiderio che si applica a un’unica donna).

Prima di lei, Thomáš non dormiva mai con le sue amanti, ma in Tereza vede qualcosa di diverso. Ha bisogno di averla accanto, ma non è abbastanza. La sua vita da donnaiolo continua e Tereza accetta i suoi abbandoni e brama i suoi ritorni a casa. Thomáš rappresenta la nostra necessità d’evasione, la paura di stare fermi e di lasciarci appesantire da un amore unico e totalizzante. Rappresenta ciò che facciamo per prevenire ciò che non è ancora accaduto, ma che sappiamo potrebbe accadere. L’amore per Teresa è fatto di tenerezza, premura e sostegno nei momenti difficili. Il desiderio per le donne che cerca rappresenta la conoscenza dell’altro, di luoghi non vissuti ma di cui si coglie la bellezza, fugace e intensa. In loro cerca il senso di una vita che non sa capire fino in fondo, s’illude che quello sia l’unico modo per trovare un significato nascosto.

Tereza porta sulle spalle il peso di un passato difficile e si rifugia tra le braccia di Thomáš, accetta i suoi ripetuti tradimenti e lo aspetta.

Tereza sa che il momento in cui nasce l’amore si presenta così: la donna non resiste alla voce che chiama all’aperto la sua anima spaventata; l’uomo non resiste alla donna la cui anima presta orecchio alla voce.

Tereza rappresenta il nostro modo d’amare quando accettiamo dei compromessi che non dovremmo neppure valutare. Accettiamo l’altro perché siamo sicuri di non poterne fare a meno, riponiamo in una sola persona le nostre debolezze, la nostra vita. Amiamo in modo folle e sincero, ma tolleriamo le bugie altrui pur di non perdere quell’abbraccio che ci calma, quel bacio che ci rassicura, quei ritorni a casa. Ci accontentiamo affinchè il nostro amore possa bastare per entrambi.

Cosa succede se si reitera il medesimo atteggiamento per tutta la vita, rifiutando l’amore e sposando soltanto il desiderio? Si insegue la leggerezza e si scopre essere insostenibile quando tutto quel che si è tradito scompare, e non rimane più niente da tradire. Si rimane soli con momenti troppo brevi per essere ricordati. Sabina, pittrice di talento e donna affascinante, è l’amante più stabile che Thomáš abbia mai avuto, ma dopo una vita vissuta all’insegna della leggerezza acquista una nuova consapevolezza:

Una persona può tradire i genitori, il marito, l’amore, la patria, ma quando poi non ci sono più né genitori, né marito, né amore, né patria, che cosa resterà da tradire?

Sabina è anche l’amante di Franz, un professore universitario. Dopo poco tempo Franz rivela alla moglie i suoi tradimenti perché si innamora di Sabina e anche Sabina nutre un sentimento per Franz. Il suo tradimento è molto diverso dai tradimenti di Thomáš, e ci fa capire che tradire non ha sempre lo stesso significato. Franz rappresenta la nostra fragilità quando l’amore ci lascia inermi e disarmati, completamente esposti.

Per lui l’amore non era un prolungamento della sua vita pubblica bensì il polo opposto. Significava per lui il desiderio di darsi in balìa dell’altro. Chi si dà all’altro come un soldato si dà prigioniero, deve prima consegnare tutte le armi. E così privato di ogni difesa, non può fare a meno di chiedersi quando arriverà il colpo. Posso dunque affermare che per Franz l’amore era una continua attesa di un colpo imminente.

Il romanzo di Kundera ci mostra le diverse facce dell’amore e del tradimento, ci permette di comprendere i problemi di una vita troppo pesante e le conseguenze di una vita troppo leggera. Forse vivere sposando gli estremi porta nella stessa triste direzione. Scappare ci rende soli, restare ad ogni costo ci rende deboli.

 

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.  

Le donne raccontate da Jane Austen

Le donne raccontate da Jane Austen

Le donne raccontate da Jane Austen 

Jane Austen, scrittrice inglese vissuta nel Settecento, ha posto al centro dei suoi romanzi l’universo femminile, l’amore in tutte le sue forme e personaggi pienamente caratterizzati. Tra i romanzi più celebri ricordiamo Orgoglio e pregiudizio, Emma e Ragione e sentimento.

Jane Austen nasce il 16 dicembre 1775 a Steventon, nello Hampshire. Penultima di otto figli, cresce in un ambiente stimolante dal punto di vista culturale, impara infatti il francese e l’italiano. Non si sposa e trascorre in casa la maggior parte del tempo. Si dedica integralmente alla scrittura, una passione destinata a non spegnersi mai. Il suo legame con la sorella Cassandra è molto forte e le due sorelle si scambiano diverse lettere che, purtroppo, Cassandra brucia, e a noi non rimane nessuna traccia. Muore a soli 41 anni, nel 1817.

Si può scrivere d’amore in infiniti modi, lo si può chiamare per nome o prenderne i pezzi che lo compongono e costruirci sopra una storia. Si può scrivere d’amore all’interno di una poesia, si può dire ti amo a qualcuno pur sapendo di non essere ricambiati. Lo si può ripetere ogni giorno alla stessa persona. Si può fare, costruire, trasformare. Poi si può anche trasmettere a persone sconosciute, attraverso le pagine di un libro scritto duecento anni prima, conservando la stessa magia. Questo è ciò che Jane Austen ha saputo fare magistralmente.

L’amore raccontato dalla celebre scrittrice inglese si adatta ai personaggi che lo hanno incontrato. Si mostra sfacciato o silenzioso, timido o audace, attraverso le donne che abita. L’epoca in cui nascono i romanzi di Jane Austen è vissuta da donne poco libere, che potevano affidarsi soltanto al matrimonio. Le loro voci, però, emergono in queste storie e stregano da sempre innumerevoli lettori.

Orgoglio e pregiudizio

Pubblicato nel 1813, racconta le vicende e i sentimenti di Elizabeth Bennet e Darcy. Una storia connotata da un continuo scontro tra amore e odio. Inizialmente si detestano, appaiono incompatibili, sono orgogliosi e pieni di pregiudizi. Si provocano, si innamorano, si inseguono e si lasciano. Il loro amore è coraggioso, caparbio e ancora attuale. I due amanti non sono i protagonisti di un amore classico e convenzionale, ma di un amore difficile che fa fatica a compiersi pienamente.

Emma

Pubblicato nel 1815, è un romanzo completamente diverso. Noi lettori inizialmente non sopportiamo il carattere di Emma Woodhouse, una ragazza snob, viziata e vanitosa. Pianifica matrimoni per gli altri, ma manifesta il desiderio di non sposarsi, eppure ciò che si evince è l’esatto opposto. Soltanto in un secondo momento impariamo ad apprezzarla e a seguirne gli sviluppi con interesse.
Emma vive col padre e si occupa della casa, essendo l’unica donna rimasta. Sua madre è morta e sua sorella Isabella si è sposata. In questo romanzo emergono i desideri, i pensieri e le contraddizioni di un personaggio affascinante e fastidioso al tempo stesso, una donna tutta da scoprire attraverso le parole di Jane Austen.

Ragione e sentimento

Del 1881, pone al centro delle vicende due sorelle, Marianne e Elinor. Vivono in una campagna inglese da sole dopo la morte del padre e devono affrontare i conseguenti problemi economici. Nonostante vivano una situazione difficile, si innamorano. L’amore di cui sono protagoniste, però, è diverso poiché differenti sono i loro modi di amare. Marianne è libera, si lascia andare e vive l’amore pienamente. Elinor è una donna razionale e pacata. In un romanzo che vede contrapposti la ragione e il sentimento, le due donne che li incarnano nel rapporto con l’altro capiscono che, forse, l’una ha bisogno dell’altra e viceversa.

Protagoniste indiscusse nei romanzi di Jane Austen sono le donne che, in un’epoca così restrittiva e limitante per il genere femminile, si mostrano intraprendenti, intelligenti e innamorate. Sono donne normali, non eroine, sono fragili e forti al tempo stesso. Filo rosso che lega i romanzi di Jane Austen è infatti l’amore, e noi rimaniamo stregati dal modo in cui ce lo racconta.

Martina Macrì

Sono Martina, ho una laurea in Lettere e studio Semiotica a Bologna. La scrittura è il mio posto sicuro, il mio rifugio. Scrivo affinché gli altri, o anche solo una persona, mi leggano e si riconoscano. Su IoVoceNarrante mi occupo principalmente di letteratura.