Le 6 migliori Bock e Dopplebock del 2022 – IVN AWARDS

Le 6 migliori Bock e Dopplebock del 2022 – IVN AWARDS

Bock e Dopplebock: le migliori birre del 2022 – IVN AWARDS

Intense, corpose e nell’olimpo delle birre preferite. Le bock e dopplebock chiamano, iovocenarrante risponde presente con la top 5+1 (non sappiamo mai dire basta alla bontà) che abbiamo bevuto nel 2022…

Continuano i premi alle birre migliori del 2022 (solito DISCLAIMER amici: ovviamente il gusto è soggettivo, se non siete d’accordo con noi scrivetecelo e invitateci ad assaggiare le “vostre” birre), dopo le luppolate, passiamo alle bock e le dopplebock, due declinazioni di uno stesso concetto.
Birre “toste”, quasi sempre ad alta gradazione alcoliche, perfette per allietare le vostre serate invernali, tra una copertina sulle ginocchia, una serie tv appassionante (per cui vi sconsigliamo VWars) e un pacchetto di patatine.
Come sempre l’ordine è totalmente casuale. Ringraziamo Alessandro Di Lorenzo per la preziosa consulenza.

BIBOCK, Birrificio Italiano (Limido Comasco)
Partiamo da un grande classico: una bock consistente, forte e con una dolcezza di fondo che scalda il palato. “Bibock è il nostro omaggio sui generis alle creazioni più vigorose della scuola germanica.
Bibock è eleganza, prepotenza, un’entrata a gamba tesa di sorprendente gentilezza, in bilico tra amaro e miele, accattivante e difficile da addomesticare
”.


TERMINATOR, Birrificio Rurale (Desio)
Terminator è la nostra interpretazione dello stile tedesco Doppelbock, si caratterizza per una complessa struttura maltata che spazia dalle fragranti note di crosta di pane, per passare attraverso aromi di uva sultanina e frutta secca, per finire con un lieve accenno di cioccolato amaro”. Una birra complessa, forte e persistente sul palato perfetta per dimenticare le polemiche sui big di Sanremo 2023.


PUNTO G, Birrone (Castelnovo)
Birra ambrata, decisamente maltosa. Il malto dolce e caratteristico e il retrogusto di luppolo ne fanno una birra particolarmente beverina, morbida al palato e poco gassata. E’ la preferita dalle donne, non a caso il mastro birraio l’ha dedicata a loro”. Birrone è una certezza, Punto G un gustoso capolavoro.


 

VERTIGO, Orso Verde (Busto Arsizio)
Birra a bassa fermentazione color ocra con schiuma bianca e cremosa. All’olfatto prevale il malto accompagnato da miele d’acacia e frutta bianca. Ricca in bocca e di grande corrispondenza con le sensazioni olfattive, rappresenta un ottimo equilibrio tra forza e facilità di bevuta”. Tra le rosse arriva una bock che rossa non è. Densa, intensa e che “scende giù benissimo” senza far notare troppo i suoi 7 gradi.


BILLYGOAT, The Wall (Venegono Inferiore)
Doppelbock prodotta con malto d’orzo e luppoli nobili tedeschi. Dal color ramato scuro, al naso preannuncia la sua complessità con note di caramello, malto e miele. In bocca la sensazione dominante è data dalla dolcezza e pienezza del malto, in secondo piano emerge l’avvolgente contenuto alcolico. Il finale pulito e fragrante invita a proseguire la bevuta. Una birra forte e decisa ma dal carattere dolce e suadente”. Una birra che scalda perfetta da bere in inverno, perfetta per i panorami aperti della provincia (ma anche tra i palazzi non stona).


IL MONTANTE, Brewfist (Codogno)
Il Montante, una doppelbock ai confini vista la gradazione bassa, ma pienamente accettata per aroma e profumi. Schiuma da masticare dove i malti tostati hanno la meglio, la bevuta inizia in modo preciso con il caramello che sorprende quasi fosse un montante, il palato è già sazio quando arrivano i sentori di uva e luppolo Aurora”. Il montante: ti colpisce, ti stordisce, ti obbliga a ordinarne un’altra.


Insomma, la nostra top 5+1 finisce qui. Fateci sapere se siete d’accordo.

Ti piace quello che facciamo? Leggi di più.

Francesco Inverso

Quando scrissi la prima volta un box autore avevo 24 anni, nessuno sapeva che cosa volesse dire congiunto, Jon Snow era ancora un bastardo, Daenerys un bel personaggio, Antonio Cassano un fuoriclasse e Valentino Rossi un idolo. Svariati errori dopo mi trovo a 3* anni, con qualche ruga in più, qualche energia in meno, una passione per le birre artigianali in più e una libreria colma di libri letti e work in progress.
Sbagliando si impara…a sbagliare meglio.

Pink Floyd: The Wall, le angosce e le domande di Roger Waters

Pink Floyd: The Wall, le angosce e le domande di Roger Waters

Pink Floyd: The Wall, le angosce e le domande di Roger Waters

Quarantatré anni dopo la sua uscita, “The Wall” è un concept album ancora attualissimo per l’universalità dei temi trattati sulla condizione umana, dallo straniamento all’impossibilità di comunicare.

Andare oltre il Muro leggendo i testi dell’opera rock “The Wall”, è un esercizio che ci permette di ritrovare alcuni temi che si andavano imponendo alla sensibilità della band inglese. I Pink Floyd erano all’apice del loro successo con il tour precedente legato all’album “Animals”; le cifre di vendita e le presenze ai concerti sono sbalorditive e cresce nel leader di quegli anni, il bassista e cantante Roger Waters, la vertigine e la sensazione che il megaconcerto sia un luogo dove non ci sia un vero incontro, ma una festa vuota, dove si erge un bastione invalicabile tra la band e la gente. Il doppio vinile uscito nel novembre del 1979 ha le sue radici quindi nel precedente tour mondiale dei Pink.

Straniamento, impossibilità di raggiungere i fan, alienazione mentale; quest’ultima è una impressione forte nel gruppo, che alcuni anni prima ha visto uscire dalla formazione il fondatore Syd Barrett proprio per progressivi disturbi mentali. Il muro della copertina, completamente bianco di mattoni tutti della stessa dimensione, ci ricorda le pareti immacolate e Marcello Mastroianni con la frusta in mano, regista in crisi che non sa più cosa dire e come dirlo del capolavoro felliniano “8 e ½”.

Nel primo vinile dominano la paura e le domande. Certo la paura della guerra, che priva il piccolo Roger del padre, caduto nella Battaglia di Anzio del 1944, e che si palesa con il rumore degli aeroplani nella prima traccia “In the flesh?”. Ma anche quella di vivere.

Da qui in avanti si impone la figura della madre, che instilla nel figlio le proprie fobie: in “The thin ice” lo mette in guardia dal rischio di camminare sul “ghiaccio sottile della vita moderna”. Ricorrono le parole fear (paura, appunto), reproach (rimprovero) dei milioni di occhi rigati di lacrime (tear-stained), ossia il ricatto dei cari in pena per il piccolo. Quando il ghiaccio si rompe il bambino cade nell’abisso ed esce di testa (out of his mind). La scena si completa con l’immagine del figlio spaesato che si aggrappa al ghiaccio frantumato.

Nella canzone “Mother” ritorna il terrore della guerra, del non essere accettato, dell’essere bullizzato come accadeva a scuola; la paura di soffrire per amore. Tutto viene espresso con domande che Waters pone alla madre: “mamma, pensi che sganceranno la bomba? Che la mia canzone piacerà? Che io mi potrò fidare del governo? Mamma, mi spezzerà il cuore?

Ai suoi dubbi risponde il chitarrista David Gilmour, che, come controcanto, utilizza le parole nightmare (incubo) e di nuovo fear, e per contrasto afferma che la madre lo terrà cozy and warm (coccolato al caldo), che gli sceglierà le fidanzate, ma che lo terrà sempre d’occhio.

Nella tripla “Another brick in the wall” parte prima e seconda e “The happiest days of our lives” Waters ricorda i professori che evidenziavano le debolezze (weakness) dei bambini, e immagina gli stessi a casa frustrati e succubi di mogli psicopatiche, di nuovo parlando di disagio mentale, come visto in precedenza. Il coro degli alunni che chiedono urlando “non abbiamo bisogno di questa educazione, professori, lasciate i ragazzi da soli” è uno dei pezzi più famosi dell’opera e della musica moderna in generale; quasi un sogno, il desiderio del giovane Roger.

La riflessione sulla guerra ritorna in “Goodbye blue sky”, ed è la fine dell’innocenza. Ritornano gli uomini spaventati (frightened), che scappano. Ritornano le domande: “perché scappiamo se ci avevano promesso un mondo nuovo sotto un cielo blu chiaro?”.

Pink (questo il nome del protagonista, alter ego di Waters) è ormai adulto ed è diventato una rockstar, ma il suo processo di alienazione prosegue; sta costruendosi il muro che lo separa da tutto. Affronta una crisi (One of my turns) e domanda alla donna che è con lui se vuole dormire, fare l’amore o imparare a volare (la vuole uccidere?) o se vuole vederlo volare. “The Wall” è ormai costruito.

Nel secondo vinile il protagonista prende la scena, e i testi si soffermano maggiormente sulle sue azioni; la madre, l’assenza del padre, il maestro e la moglie lo hanno aiutato a porre mattoni su mattoni.

Ora assistiamo alla sua ricerca di qualcuno oltre la parete. In “Hey you” domanda aiuto e chiede se qualcuno lo sente. Come sempre nel tentativo di risalire ci sono momenti in cui tutto sembra vano, e una voce dice: “il muro è troppo alto, e i vermi gli stanno mangiando nel cervello”, con un nuovo riferimento all’aspetto psichico. Nel finale appare però anche uno sguardo al futuro: “hey tu, non dirmi che non c’è speranza; uniti resistiamo, divisi cadiamo”.

Pink si rende conto che a casa non c’è nessuno, che è da solo; nella famosissima “Confortably numb” (Piacevolmente intontito) vince le paure che ne derivano con delle pillole, e in una traccia precedente c’è un riferimento alle siringhe. Anche il ricordo del passato e del padre sembra scomparire.

In “The show must go on” Pink continua a riflettere, prega i genitori di riportarlo a casa, e si chiede: “è troppo tardi?”. È forse possibile invertire la strada intrapresa?

Forse lo sarà, ma il protagonista dovrà passare attraverso un incubo in cui il suo altro è un dittatore che cerca i diversi, neri, ebrei o omosessuali. Allora aspetta che il delirio passi, per prendersi una pausa (“Stop”) e di nuovo chiedersi: “è sempre stata colpa mia?”.

La redenzione passa attraverso il processo (The trial). Riappaiono quindi il maestro e la madre, i rimproveri e le offerte di rifugio sicuro nella casa di quando era bambino.

Il giudice lo dichiara quindi colpevole di aver fatto soffrire tante persone, e lo condanna a tornare in mezzo ai suoi pari. Pink deve riprendere a mostrare le sue paure più profonde. Il muro va abbattuto! La sua salvezza passa proprio attraverso le angosce di esporsi.

Le parole dell’ultima traccia, “Outside the wall”, ossia “Fuori dal muro” sono forse una riflessione generale sui rapporti umani: le persone buone, che ci vogliono bene, ci sostengono e ci fanno stare in piedi. Alcuni cadono, dopotutto non è facile resistere quando si sbatte contro il muro di un idiota matto.

I rapporti umani si interrompono contro le pareti che, a turno, ognuno di noi alza e abbassa, senza soluzione di continuità.

 

Danilo Gori

“The Wall” il film: un album raccontato per immagini

“The Wall” il film: un album raccontato per immagini

“The Wall” il film: un album raccontato per immagini

Droghe e incomunicabilità, omologazione e surrealismo: è questo – e molto altro – il film tratto dal concept album “The Wall” ispirato all’omonimo album dei Pink Floyd che usciva il 30 novembre di 42 anni fa.

TRAMA

Il film racconta di Pink, una rockstar che vive un profondo disagio interiore dettato da un passato travagliato e un presente straniante fatto di droghe, solitudine e depressione che lo porteranno a diventare un dittatore.

Pink raccoglie in sé non solo il profondo disagio esistenziale della generazione degli anni ’70 ma anche le caratteristiche biografiche dei componenti della storica band: proprio come R. Waters, infatti, il protagonista perde il padre durante la Seconda Guerra Mondiale e trascorre l’infanzia vivendo un soffocante ambiente scolastico. Allo stesso modo la profonda depressione e la dipendenza da sostanze stupefacenti si rifà alla vita di Syd Barrett.

LA GENESI

Dopo aver vissuto sulla propria pelle il disagio derivante dal successo mondiale è proprio Roger Waters a voler andare oltre il proprio album e a progettare una componente visual che potesse accompagnare e completare un album già di per sé fantastico, con il desiderio di dare una forma al surrealismo atmosferico dell’album.

La pellicola, diretta da Alan Parker, coniuga la parte recitata a una parte animata che nasce dai disegni di Gerald Scarfe. Ma la creazione del prodotto non fu per nulla facile: la collaborazione tra le tre menti – Waters, Scarfe e Parker – fu talmente travagliata che il montaggio del film richiese una quantità di tempo molto superiore alle aspettative, circa otto mesi di tempo.

HA SENSO “VEDERE” THE WALL?

Questa pellicola è un prodotto di cui si è discusso molto fin dalla sua uscita nel 1982. Presentata al Festival di Cannes, non riscosse molto successo a causa della sua natura molto poco definita. Il film, infatti, appare alle volte come un miscuglio anche mal assortito di immagini deliranti. Lo stesso Waters ha ammesso più volte di essere rimasto confuso dal risultato finale; dello stesso parere poi fu anche il regista che più volte definì la pellicola come un “mix di idee folli di Roger Waters”.

La parte più interessante però è la componente visuale creata dalle mani di Gerald Scarfe: le illustrazioni dell’artista hanno fatto la storia e l’immaginario dell’album e creato un binomio inscindibile di musica e immagini. Lo spettatore assiste al viaggio introspettivo del protagonista che, isolatosi in una camera d’albergo, vede scorrere davanti a sé tutta la sua vita, fra ricordi reali e ricordi psichici.

I disegni di Scarfe sono crudi, violenti e disturbanti: eppure solo in questo modo sarebbe stato possibile rendere al meglio la visione che Pink ha del mondo, storpiata dall’alienazione, dal disagio e dalla paura.

Il risultato è un prodotto scostante, con un’atmosfera pesante – che benissimo rende l’atmosfera dell’album – ma difficile da digerire. La pellicola trova linfa vitale e splendida esecuzione nella dicotomia musica e animazione; altrettanto però non si può dire per il recitato, che invece risulta confuso, involuto e capzioso.

Giorgia Grendene

Sono Giorgia e amo le cose vecchie e polverose (come la mia laurea in lettere classiche), le storie un po’ noiose che richiedono tempo per essere raccontate e apprezzate, i personaggi semplici con storie disastrose. Mi piacciono il bianco e nero e il technicolor molto più del 4K, i libri di carta molto più degli e-book, il salato molto più del dolce, i cani molto più dei gatti.