Tennis 2022, tra conferme e volti nuovi un uomo solo al comando: Roger Federer

Tennis 2022, tra conferme e volti nuovi un uomo solo al comando: Roger Federer

Tennis 2022, tra conferme e volti nuovi un uomo solo al comando: Roger Federer

Nadal e Djokovic non si arrendono, arrivano i diciannovenni capitanati da Alcaraz; gli italiani si fanno valere, ma gli applausi più calorosi vanno a King Roger.

Nessuno è più grande dello sport, lo sappiamo bene, ma quest’anno a ottobre per qualche attimo ci siamo dimenticati la nota massima, o forse semplicemente abbiamo fatto finta che non fosse vera. Perché in fondo lo sport ha bisogno di storie da raccontare, storie belle, strane, divertenti, a volte drammatiche; storie di uomini e di donne, racconti che colorino le pagine bianche e che vadano oltre le statistiche e i semplici risultati. E la sua storia è di quelle irripetibili.

Il tennista che ha rubato la scena in questo 2022 ha una caratteristica singolare: non ha giocato nemmeno una partita! infatti Roger Federer, perché è dello Swiss Maestro che stiamo parlando, è sceso in campo per la sua ultima partita ufficiale durante Wimbledon del 2021, perdendo contro Hurkacz.

In realtà a ottobre ha giocato un doppio nella Laver Cup, la ricchissima esibizione che vede il campione elvetico tra gli organizzatori. Lo ha giocato in coppia con il suo amico e rivale di una intera carriera: Rafa Nadal. Per la cronaca quel doppio i due lo hanno perso. Ma il risultato era la cosa meno importante; il dopopartita commovente, il pianto di Roger, e di Rafa, il coinvolgimento totale della audience ha sancito l’eccezionalità dell’attimo tanto atteso e nello stesso tempo temuto: il ritiro ufficiale del basilese.

Per mesi ci siamo illusi che lo avremmo rivisto a Wimbledon o in un altro torneo, ma il suo fisico non era d’accordo. In tanti hanno scritto di lui dopo il suo ritiro; piuttosto che tornare sui suoi otto Wimbledon o sui venti titoli del Grande Slam ci limitiamo a parlare di due riconoscimenti meno conosciuti, ma assai significativi.

Roger durante la carriera ha tenuto un comportamento improntato ad assoluta compostezza e sportività. Se nel passato si è sentito il bisogno di istituire lo “Stefan Edberg Sportmanship Award” anche per incoraggiare una condotta in campo non sempre impeccabile di diversi giocatori, negli ultimi vent’anni lo svizzero ha, dall’alto dei successi e del crescente carisma, “imposto” il fair play; questo prima ancora che la impetuosa irruzione dei social ne consigliasse l’osservanza dei fondamenti a chi volesse curare la propria immagine. Il premio, assegnato dai tennisti stessi, è stato vinto per tredici anni consecutivi dal 2005 in poi proprio da lui.

L’asso di Basilea può infine affiancare, ai titoli Slam e ai tredici sportmanship, diciannove allori nel “Fan’s Favourite Award”, titolo assegnato dai tifosi votanti sulla piattaforma di voto sul sito dell’ATP, che fa suo ininterrottamente dal 2003, quando era solo il giovane vincitore di una edizione di Wimbledon.

Questi premi sono forse marginali ma secondo noi danno la misura del suo immenso impatto nel mondo del tennis e dello sport. Grazie di tutto, King Roger.

I Big Three sono così diventati i Big Two, e che ne è stato di loro? La stagione di Rafa Nadal si può dividere in due parti. Una prima praticamente perfetta con le vittorie a Melbourne e a Roland Garros. Queste due vittorie lo hanno ingolosito e lo spagnolo ha deciso di presentarsi anche a Wimbledon, scelta che forse oggi maledice. Infatti, si è infortunato, probabilmente spingendo oltre il limite il suo fisico. La seconda parte della stagione è stata molto meno soddisfacente: ha perso a Flushing Meadows e alle ATP Finals e a quel punto si è preso una vacanza anticipata saltando la Coppa Davis. La stagione di Novak Djokovic è stata dimezzata da alcune scelte politiche che lo hanno escluso da Melbourne e da New York, ma il serbo ha comunque centrato alcuni traguardi molto importanti tra cui Wimbledon e proprio le Finals.

Anche per quanto riguarda il tennis femminile parliamo prima di tutto di un ritiro, quello di Serena Williams. La campionessa di colore entra di diritto nel gruppo ristrettissimo di campionesse che hanno segnato un’epoca non solo dal punto di vista tennistico. Serena è diventata negli anni un personaggio pubblico esattamente come a suo tempo lo è stata Martina Navratilova o prima di lei Billie Jean King: il tennis femminile, alla ricerca di nuove eroine, perde una straordinaria protagonista. Le è mancato solo il Grande Slam, toltole dalla nostra Roberta Vinci che l’ha eliminata in una storica semifinale a New York nel 2015.

Se invece parliamo di tennis giocato è stato sicuramente l’anno di Iga Swiatek: la tennista polacca ha raggiunto la prima posizione mondiale vincendo ben due prove del Grande Slam e si presenta all’inizio della stagione 2023 come la tennista da battere.

I tennisti italiani hanno avuto una stagione in altalena; forse era lecito attendersi di più dopo il 2021 e invece siamo stati testimoni di qualche stop di troppo per i nostri.

Il punto di svolta della stagione di Matteo Berrettini è stata la sua improvvisa positività al COVID-19 che lo ha costretto al ritiro a Wimbledon. Il giocatore che ha preso il suo posto nel tabellone è arrivato tranquillamente nei quarti di finale dove ha perso da Nick Kyrgios. È lecito pensare che Matteo avrebbe affrontato da favorito il quarto di finale e superandolo non avrebbe nemmeno trovato l’avversario, poiché Nadal ha rinunciato a scendere in campo. Quindi, con un pochino di fortuna probabilmente Matteo avrebbe potuto disputare la finale, esattamente come l’anno precedente.

È andata così purtroppo e il resto della sua stagione non è stato particolarmente esaltante oltre che caratterizzato da due infortuni. Il primo, una piccola operazione alla mano destra, lo ha costretto a disertare l’intera stagione sulla terra battuta; il secondo gli ha praticamente dimezzato la stagione autunnale. Matteo chiude così il 2022 retrocedendo di una decina di posizioni nella classifica.

Anche il giovane Jannik Sinner è sceso più o meno dello stesso numero di posizioni in classifica del romano. Ha giocato bene a Wimbledon dove ha perso al quinto set dal vincitore Djokovic e anche agli US open dove ha perso sempre ai quarti contro Carlos Alcaraz, che poi avrebbe vinto il torneo facendosi anche annullare un match point dallo spagnolo. Qualche rimpianto, belle imprese ma nel complesso non ci sono stati i miglioramenti nel gioco che tutti si aspettavano.

Chi registra un miglioramento nella classifica è sicuramente il ventenne Lorenzo Musetti che è saldamente il numero tre d’Italia. È cresciuto al punto da vincere il torneo di Amburgo in estate battendo in finale proprio Alcaraz. Lo spagnolo, nuovo numero uno del mondo anche per le vicissitudini dei migliori, è la vera novità della stagione appena conclusa.

Per chiudere l’Italia a novembre ha perso una sfortunata semifinale in Coppa Davis al cospetto del Canada che poi ha vinto la manifestazione e stata una grossa occasione persa Ma la squadra c’è, è solida e può riprovare già dal prossimo anno la scalata alla Coppa Davis.

Ci fermiamo qui, ma gennaio si avvicina, con gli Australian Open: da lì riprenderà il nostro racconto.

Buon tennis a tutti!

 

Danilo Gori

ATP Finals: Novak Djokovic, il Maestro 6 tu!

ATP Finals: Novak Djokovic, il Maestro 6 tu!

ATP Finals: Novak Djokovic, il Maestro 6 tu!

A Torino il serbo si impone per la sesta volta, sette anni dopo l’ultimo successo. Non è il numero uno del mondo per ragioni esclusivamente extra-tennistiche.

Novak Djokovic vince il titolo di Maestro del circuito! Lo fa per la sesta volta e affianca Federer, che ha vinto più volte di tutti la competizione. Si è presentato per tutta la settimana dal 13 al 20 novembre con una livrea verde che ci ha ricordato l’Enigmista, il nemico che sfidava Batman a colpi di indovinelli. Qui il mistero è il solito: ma come fa a vincere sempre?

Il grande campione serbo ha dimostrato ancora una volta di essere fatto di un materiale indistruttibile. Ha difeso le sue scelte in materia di vaccini fino a dover accettare l’esclusione dall’Australian Open a gennaio; per lo stesso motivo non ha potuto entrare negli Stati Uniti ed ha così saltato tutte le manifestazioni in quel paese, soprattutto gli US Open.

Ha vinto Wimbledon, ma non ha incassato i punti destinati al vincitore per la decisione dell’Associazione Tennis di penalizzare il torneo che aveva deciso di non ammettere tennisti russi e bielorussi. Insomma, c’era di che scoraggiarsi. Novak invece ha pensato solo a farsi trovare pronto fisicamente e mentalmente ogni qualvolta gli avessero permesso di giocare.

Da settembre ha giocato tre tornei, vincendone due e sfiorando il titolo nel terzo, a Parigi, sconfitto all’ultima curva da Holger Rune, diciannovenne di cui parlammo subito bene commentando il Roland Garros (che occhio clinico).

A Torino ha vinto cinque volte perdendo solo un set, al tie-break con Daniil Medvedev. In finale ha disposto del Norvegese Casper Ruud in due set, 75 63, prevalendo sul campo più nettamente di quanto non dica il punteggio. I suoi colpi piatti viaggiavano spediti su una superficie molto veloce, e il giocatore nordeuropeo semplicemente non aveva le armi per metterlo in difficoltà.

Nel discorso successivo alla premiazione, Novak Djokovic è andato a braccio e a cuore, esprimendosi in un ottimo italiano e scatenando l’affetto del pubblico torinese.

Non sempre il tifo è dalla sua parte in giro per il mondo: perché è il più forte, per certe sue scelte, perché vince troppo. In Italia trova sempre le giuste emozioni e il calore del pubblico.

A trentacinque anni è ancora l’uomo da battere, e la stagione 2023 si è già aperta nel modo migliore, con le autorità australiane che hanno rimosso il ban al suo ingresso nel continente oceanico. Gli avversari sono avvisati…

Capitolo Rafa Nadal. L’asso spagnolo rientrava da un infortunio, e la superficie velocissima non lo ha aiutato. Ha perso il primo incontro con Taylor Fritz lottando nel primo set ma arrendendosi ai missili del suo avversario nel secondo. Due giorni dopo ha ceduto al canadese Auger-Aliassime, ed è stato eliminato. Si è scosso nel terzo match, inutile ai fini della classifica ma fondamentale per il suo orgoglio, e ha battuto un Ruud già ammesso alle semifinali.

Quello delle ATP Finals è l’unico alloro che tarda ad arricchire ulteriormente la sua ponderosa bacheca. Il maiorchino deve avere una vetrinetta in granito e alabastro rinforzato che fa municipio in quel di Manacor, ma l’edicola speciale approntata per ricevere il trofeo del Masters rimarrà sfitta per un anno ancora.

L’eventualità peraltro non sembra togliere il sonno al campione iberico; in conferenza stampa, scrollando la testa senza posa, ha riconosciuto il valore dell’avversario, la difficoltà di rientrare dopo un infortunio e di misurarsi da subito con giocatori forti.

Mentre scriviamo è già partito per lucrosissime esibizioni in Sudamerica. Ha un anno più di Novak, ma è più provato nel fisico dopo anni di battaglie e di tennis dispendiosissimo; speriamo ritrovi la carica per una nuova stagione ai vertici, dopo un 2022 che lo ha portato comunque sul trono di Melbourne e di Parigi. Il pubblico lo segue come sempre, il suo ingresso in campo a Torino contro Fritz è stato salutato da un entusiasmo straordinario (cui chi vi scrive ha nel suo piccolo contribuito), vederlo giocare è sempre inspiring.

Vabbè, ma non c’erano mica solo loro due.

Vero.

Stefanos Tsitsipas, il bel greco vincitore a Montecarlo, come scrivemmo ad aprile, ha il difficile compito di raccontarci quanto fosse bravo Roger Federer. Il suo gioco lo ricorda molto.

È l’unico a colpire di rovescio a una mano ed è quello che meglio di tutti attacca la rete. Inoltre, piace molto al pubblico femminile, e qui batte anche Roger. Ma solo qui.

È bravissimo e vederlo in azione fa bene ad ogni appassionato; chissà se troverà la formula per fare un ulteriore salto di qualità e vincere uno Slam. A Torino ha perso una partita ben avviata contro il russo Rublev; forse gli farebbe bene prendersi una vacanza dal proprio clan, una famiglia con un padre allenatore un po’ troppo severo (la storia di questo sport è piena di genitori ingombranti, arroganti e a volte purtroppo anche maneschi).

Daniil Medvedev quest’anno è stato anche numero uno del mondo, ma non ha saputo essere sufficientemente continuo per difendere la posizione. Qui ha perso tre volte su tre, sempre al tie-break decisivo! Un record alla rovescia.

Fritz e Rublev sono stati semifinalisti inattesi ma bravi ad approfittare delle occasioni presentatesi, così come anche il finalista Ruud, uno dei tennisti che più ha compiuto progressi nella stagione appena terminata. Mia opinione: gli organizzatori non devono essere stati troppo contenti di avere questi tre semifinalisti, forti ma non molto personaggi. Per loro fortuna il quarto era Novak Djokovic, che ha messo a posto le cose…

Ne ho nominati sette, quindi ne manca uno. Felix Auger-Aliassime è stato il protagonista dell’autunno, con una rincorsa a suon di vittorie che gli è valsa la qualificazione per Torino. Ma per arrivarci si è spremuto oltre, ed è stato eliminato anzitempo. È giovane, ci sarà tempo.

L’anno si chiude qui, manca solo la Coppa Davis, in scena a Malaga proprio in questa settimana, C’è l’Italia, ma Sinner e Berrettini hanno marcato visita e noi riponiamo le speranze di bella figura soprattutto in Musetti e Sonego. Sarà dura sin dal primo turno, con gli USA di Taylor Fritz gasatissimo protagonista nel capoluogo piemontese.

Speriamo sia tanto stanco…

Danilo Gori

US Open: ciak si gira, il tennis nella Grande Mela

US Open: ciak si gira, il tennis nella Grande Mela

US Open: ciak si gira, il tennis e la Grande Mela

Comincia lunedì 29 l’ultima prova dello Slam, tra italiani agguerriti, assenze eccellenti, ritorni, addii e… lieti eventi

Il nostro racconto della stagione tennistica si era interrotto a Londra, con gli applausi per Djokovic e Rybakina, re e regina di Wimbledon; eccolo riprendere a New York, dove lunedì 29 ha inizio lo US Open!

Il sole piacevole, le nuvole inglesi agilissime a celarlo e mutevoli, a volte caricate a salve e a volte piene d’acqua. I riti e le liturgie dei luoghi sacri dello sport, la noblesse du tenis. Beh, dimentichiamo tutto.

Ora comanda l’afa insopportabile di fine estate della east coast, con una superficie, il cemento, che amplifica il caldo percepito dagli atleti. Il pubblico americano si muove, compra da mangiare e torna sugli spalti in ritardo; il giudice di sedia lo richiama più volte “take your seats quickly please”. Non vive nulla di sacro, vede piuttosto un grande show, uno dei tanti nella città di Broadway. Insomma, gente indisciplinata ma divertente.

Cenni di storia: il complesso di Flushing Meadows viene inaugurato nel 1978: il vecchio Forest Hills, nel cuore del Queens, ospita in due distinti periodi ben sessanta edizioni degli US Open, con in aggiunta ben dieci finali di Coppa Davis. Ma negli anni Settanta non basta più per contenere la crescita di pubblico.

Nel 1974 si gioca per l’ultima volta sull’erba, e vince Jimmy Connors; nei tre anni successivi viene scelta la terra verde, più veloce di quella rossa europea. Ma urge una nuova struttura, moderna e soprattutto più capiente. E gli americani erigono Flushing; manco a farlo apposta, vicinissimo all’aeroporto “Fiorello La Guardia”: ogni minuto si alza un aereo, con costante disturbo per la concentrazione dei tennisti. Nel 1978 si gioca sul cemento, scelta seguita fino ai giorni nostri; Adriano Panatta nei quarti apparecchia il suo tennis migliore, ma Connors, che poi vince il titolo, lo beffa sul traguardo con un passante di rovescio a una mano considerato ancora oggi uno dei colpi più belli nella storia del torneo.

Il sindaco Dave Dinkins interviene e nel 1990 ottiene il cambio delle traiettorie aeree per insonorizzare (si fa per dire) il torneo. Well done Dave, tutti i vincitori da lì in poi ti devono qualcosa!

Il Campo Centrale è dedicato ad Arthur Ashe, leggendario atleta di colore, campione nel 1975 di Wimbledon e di intelligenza contro un furioso Connors (sempre lui!); è lo stadio del tennis più grande del mondo.

 

Vicino ad esso l’arena dedicata a Louis Armstrong, omaggio al divino trombettista e alla personalità culturale che trascende l’ambito e la nazionalità. Ma, se si vuole sorridere un po’, possiamo di nuovo pensare a come gli americani approcciano lo sport. Boris Becker trionfò nel 1989, e disse: “vincere qui è incredibile. A Wimbledon è di rigore il silenzio? A New York uno potrebbe suonare il sassofono nelle prime file, e nessuno avrebbe da ridire.”. D’altronde, non è forse nato qui negli anni Settanta il World Tennis Team, una competizione a squadre, già una forzatura in uno sport individuale, dove i tennisti potevano essere sostituiti come nel calcio, e il pubblico poteva tifare – orrore – durante gli scambi?

I più grandi vincitori degli US Open sono Jimmy Connors, Pete Sampras e Roger Federer, tutti con cinque allori; tra le signore Chris Evert e Serena Williams, sei volte ciascuna a segno. Il risultato più importante di un italiano nel torneo è la semifinale raggiunta da Berrettini tre anni or sono, finita con la vittoria netta di Rafa Nadal.

Prima di lui semifinale anche per Corrado Barazzutti nel 1976; perse da Connors, e il match è rimasto famoso per un punto, un colpo di Jimbo che Corrado riteneva fosse out. Prima ancora che il giudice si avvicinasse per controllare il segno (si giocava sulla terra), l’americano passò la rete e cancellò la traccia con il piede, davanti all’attonito “barazza” . Il pubblico lo travolse con dei sonori buu e il giudice arbitro disse qualcosa come “non si fa così Mr. Connors”, in pratica perdonandolo. Avrebbe vinto comunque, però fu un tantino cafone.

Tra le donne invece c’è l’indimenticabile finale del 2015, che si trasformò in una strapugliese tra la tarantina Vinci e la brindisina Pennetta, con quest’ultima che alza la coppa.

Come è andata l’estate tennistica? Dopo Wimbledon luglio ha vissuto l’ultimo scorcio di terra rossa vacanziera, a Umag in Croazia e Gstaad in Svizzera, con i nostri portacolori sugli scudi. Berrettini finalista in Svizzera, Sinner vincitore in Croazia e Musetti ad Amburgo. In agosto il cemento americano è stato meno generoso con gli italiani e ha visto vincere a Cincinnati due giocatori risorti dopo periodi tribolati: Borna Coric e Caroline Garcia. Protagonisti in più per lo Slam newyorchese.

 

Non mi sottraggo al gioco dei favoriti: un pronostico errato in più non può compromettere oltre la mia fama di esperto (ah ah!). Tra i maschi non c’è Djokovic, la cui avversione ai vaccini continua a non piacere lontano dall’Europa (non poté entrare nemmeno in Australia); Nadal ha l’unico dubbio nell’integrità fisica, poi Medvedev, campione uscente. Alcaraz sta tornando dopo un luglio sottotono, Tsitsipas sta giocando benissimo. Italiani: Matteo Berrettini, Jannik Sinner e Lorenzo Musetti sono teste di serie, speriamo arrivino agli ottavi, e poi si vedrà. Forza ragazzi!

Tra le femminucce, Iga Swiatek dopo Parigi ha vissuto soprattutto delusioni; le più in forma sembrano Simona Halep e le americane Pegula e Gauff. Possibili sorprese? La brasiliana Haddad Maia e la russa Kasatkina.

L’edizione in avvio vivrà la commozione di un addio pesante: Serena Williams, una delle più grandi di sempre, si ritira o, come preferisce dire lei stessa, evolve. Nessuna ha vinto più di lei; la sua storia, recentemente narrata in un film con Will Smith nella parte del padre suo e della sorella Venus, si identifica con quella dello spirito a stelle e strisce, della determinazione ferrea di chi vuole arrivare contro tutti e tutto. Straordinaria ambasciatrice dello sport, giocherà l’ultima palla nello stadio dedicato ad un’altra icona black del gioco, quell’Arthur Ashe a sua volta protagonista dell’emancipazione negli anni Settanta.

Il resto è felicità: quella di Petra Kvitova, due titoli a Wimbledon, che annuncia il suo presto sposi; quella di Angelique Kerber, tre coppe Slam, che avvisa tutti: “non partecipo agli US Open, non sarebbe corretto giocare due contro uno”. Capita, quando ti accorgi di essere in dolce attesa.

I migliori auguri a loro, che per un po’ appoggiano la racchetta sul comodino. Un “buon tennis” ai colleghi che invece se la tengono ben stretta in mano, pronti ad usarla come sanno a Flushing Meadows; duecentocinquantasei protagonisti, in scena da lunedì. A chi gli Oscar? Lo sapremo alla fine della… quinzaine (deciditi: è l’Oscar o la Palma d’Oro?). Insomma: pronti, partenza, via!